Epatite e virus Hiv continuano a colpire tantissime persone in Europa, rimanendo nascoste e dimenticate per anni, visto che molti scoprono di essere contagiati quando ormai l’infezione si è instaurata. Basti pensare che ogni secondo una persona sieropositiva riceve la diagnosi quando è tardi, e lo stesso accade a una larga parte dei 9 milioni di europei con epatite B o C. Fare il test è dunque fondamentale, soprattutto per chi è a rischio di infezione, come ricorda il Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc) in occasione della Settimana europea degli esami, che si celebra in questi giorni.

«Gli esami sono il punto di inizio per le cure e terapie. Un trattamento efficace può eliminare o sopprimere i virus – ha dichiarato Andrea Ammon, epidemiologa tedesca, direttrice Ecdc – Ciò significa migliorare la salute di chi è risultato positivo, e prevenire ulteriori infezioni». Quest’anno la European Testing Week ha come obiettivo quello di aumentare i test nelle carceri, lo screening è relativamente semplice. I detenuti infatti sono tra le categorie più colpite da malattie infettive, come Hiv, epatiti, tubercolosi e malattie a trasmissione sessuale. Tra chi risulta positivo al test diagnostico dietro le sbarre, ben il 53% non sapeva di avere l’epatite B, il 12% l’epatite C e il 3% l’Hiv. L’Ecdc raccomanda di integrare i test per i tre virus (Hiv, epatite B e C), visto che hanno modi di trasmissione comuni e spesso le infezioni si sovrappongono nelle fasce più a rischio, e in particolare di promuovere attivamente nelle carceri l’offerta di questi esami al momento dell’entrata e durante la detenzione.

Sempre in tema di epatite, si calcola che 71 milioni di persone siano affette dal virus HCV nel mondo. In Italia, che tra i Paesi europei presenta il maggior numero di persone esposte al virus dell’epatite C, si stima che la prevalenza del virus sia dello 0.7-1.4%. Grazie alle nuove terapie antivirali senza interferone senza ribavirina (Daa) è possibile la guarigione in oltre il 95% dei casi trattati. I trattamenti antivirali avviati finora sono stati 170 mila a fronte dei 240 mila previsti per il triennio 2017-2019. Ecco perché proliferano le occasioni di confronto e i convegni per sensibilizzare specialisti e operatori sanitari al fine di poter raggiungere strati di popolazione e di pazienti anche ignari di aver contratto la malattia. Si stima che oltre 200mila italiani siano rimasti da trattare e che molti di questi possano mettere a repentaglio la salute del fegato e dell’intero organismo, rischiando grosso tra cirrosi ed epatocarcinoma, due delle principali complicazioni dell’epatite C, con un costo sociale di centinaia di milioni di euro l’anno legato alle conseguenze.

«I nuovi farmaci hanno la peculiarità di condurre all’eradicazione del virus nel soggetto infetto in appena otto settimane di terapia – ha scritto Massimo Andreoni, direttore scientifico Simit, Società italiana malattie infettive e tropicali -. Serve un approccio rapido e diverso in modo particolare per i casi più complicati, in cui fondamentale resta l’aderenza alla terapia e la corretta assunzione dei farmaci per non incorrere in successive difficoltà. Ciò vale soprattutto per le cosiddette key population, come tossicodipendenti e detenuti, migranti e persone fragili. I tossicodipendenti in particolare sono la fonte principale di trasmissione del virus. Si è calcolato che un tossicodipendente infetto è in grado di trasmettere l’infezione in 3 anni ad almeno altri 20 soggetti, generando uno di quei serbatoi del virus che intendiamo combattere per eliminare».

Alessandro Malpelo

QN Quotidiano Nazionale

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