Venerdì 11 Luglio 2025
Anna Vagli
Scene

La verità nei rifiuti: nuovi indizi e colpi di scena sul delitto di Garlasco

A diciotto anni dal caso, la spazzatura e il linguaggio del corpo di Stasi e Sempio potrebbero svelare segreti mai confessati

La verità nei rifiuti: nuovi indizi e colpi di scena sul delitto di Garlasco

Le persone raccontano bugie. Omettono. Ricordano a modo loro. Ma la spazzatura no. La spazzatura non mente. Racconta abitudini, relazioni, interazioni. Dice chi siamo quando pensiamo di non essere osservati.

A distanza di diciotto anni, è proprio tra i rifiuti domestici di via Pascoli che potrebbe nascondersi secondo chi indaga una verità mai detta sul delitto di Chiara Poggi. Un capello. Un frammento biologico conservato tra i rifiuti. Forse l’ennesimo indizio da interpretare. Nel nuovo troncone d’inchiesta emergono elementi che sembrano riecheggiare una revisione senza fondarla davvero: l’impronta 33, attribuita a Sempio, non è insanguinata; la traccia 10 dietro la porta non è attribuibile; la traccia sul brik del tè, a un primo esame, non risulta papillare.

Nel paradosso di questa indagine non è escluso che un giorno qualcuno proponga di riesumare persino le impronte del gatto che ha contaminato la scena per confrontarle con le macchie di sangue. Qui sta il cortocircuito. Perché nel tentativo di trovare l’ago nel pagliaio, si finisce per ignorare l’unica bussola possibile: le personalità dei protagonisti. E il loro linguaggio del corpo. Alberto Stasi, lo si è visto nell’intervista rilasciata alle Iene e che per poco non gli costa la semilibertà, è la personificazione del controllo. Il busto rigido, le mani ben appoggiate sul tavolo, come a sorreggere l’intero impianto difensivo. Lo sguardo fermo. Nessuna incrinatura, nessuna esitazione. È la postura di chi non concede niente e di chi ha addestrato il corpo al silenzio. Una maschera sfingea, che resiste anche all’urto delle domande più scomode. Ma basta nominare Sempio e tutto cambia: le spalle si abbassano, le mani si ritirano, lo schienale accoglie un corpo che finalmente si concede il lusso di cedere. È lì che avviene il cortocircuito: dice di non averlo mai conosciuto e in quel frangente il corpo racconta la verità.

Sempio invece è il volto della paura. Non del terrore da colpevole, ma del panico emotivo di chi teme che una mezza frase, uno sguardo fuori posto, possano far crollare un equilibrio fragile. Nelle recenti apparizioni televisive il suo corpo si difende male: lo sguardo è sfuggente, le mani assenti, la postura chiusa, il tono di voce basso, monocorde. Nessuna coerenza tra parole e gesti. È il mismatch perfetto: quello che accade quando il verbo e la carne vanno in direzioni opposte. Non è una menzogna. È come se il suo corpo dicesse: “Non so più da che parte stare”.

In questo scenario, si dimentica Chiara. Una vittima a basso rischio, senza ombre né doppie vite. Una ragazza che non aveva nemici, né moventi contro di sé. E che aspetta ancora, in silenzio, che qualcuno smetta di cercare nell’immondizia ciò che forse si trova solo nella mente degli esseri umani.