
L'aereo caduto in India in una zona residenziale
Roma, 14 giugno 20205 – Non vuole parlare del disastro dell’Air India, su cui sono ancora in corso le indagini per accertare le eventuali responsabilità. Ma Antonio Chialastri, pilota di linea ed esperto di human factor, docente presso il Centro studi trasporto aereo sicurezza e ambiente, ammette che qualcosa, sul fronte del trasporto aereo, sta cambiando. Ieri, il titolo della Boeing ha registrato un ulteriore calo sul mercato americano, perdendo circa il 2%. Intanto, l’ente dell’aviazione civile indiana (Dgca) ha disposto ispezioni straordinarie dal 15 giugno "fino a nuovo ordine" su tutti i Boeing 787-8 e 787-9 Dreamliner prima dell’autorizzazione al decollo dal Paese. L’ad della compagnia, Kelly Ortberg, ha intanto revocato la partecipazione del colosso statunitense all’Air Show di Parigi Le Bourget, previsto per la prossima settimana, per concentrare tutta l’attenzione sulle investigazioni relative all’incidente di Ahmedabad. "Non entro nel merito della tragedia. Ma è sempre più evidente che il problema principale sul tappeto è quello della formazione dei piloti".
Non c’è anche un problema di manutenzione?
"In primo luogo, vorrei dire che l’aereo è il mezzo di trasporto più sicuro. Ogni anno ci sono 34 milioni di voli e il numero degli incidenti è minimo. E non dimentichiamo il metodo: dopo ogni incidente ci sono indagini approfondite proprio per capire le cause e studiare i correttivi".
Però, solo per restare alle cronache degli ultimi mesi, prima ancora della tragedia in India, ci sono stati due incidenti in Corea e due negli Stati Uniti. Non ha la sensazione che qualcosa non vada?
"Non è solo una sensazione. Abbiamo organizzato un convegno proprio per affrontare questi problemi. Ogni incidente aereo ha una storia che comincia almeno quindici anni prima. Voglio dire che è il risultato di una serie di fattori. Certo, ci può essere sicuramente un fattore umano, ma anche di addestramento dei piloti".
Che cosa è successo sul fronte dell’addestramento?
"C’è stata forse l’illusione che le procedure operative e l’automazione sempre più spinta degli aerei potessero salvare il pilota dal rischio di incidenti. Inoltre, le norme e le disposizioni emanate dagli enti regolatori sono messe a punto, spesso, da persone che non hanno mai volato. È come se in questi testi il pilota fosse evaporato".
Vuole dire che le procedure non sono sufficienti?
"No. Le procedure funzionano nel 99% dei casi. Ma l’1% su 34 milioni di voli significa che ci possono essere problemi su 340mila tratte. Voglio dire che c’è sempre da imparare: è una professione dove la formazione e l’aggiornamento sono fondamentali. Quando ho cominciato a volare, ho dovuto superare un percorso di selezione durissimo, dove su 5mila candidati arrivavano alla fine del corso solo una ventina. Erano scuole severe, la formazione era fatta da comandanti molto esperti, di fama internazionale".
E oggi?
"Il sistema della formazione non funziona, perché bisogna affrontare casi e incidenti diversi rispetto a quelli di venti anni fa, e non abbiamo piloti adeguatamente formati. C’è bisogno di una sterzata in questo settore per fare formazione di eccellenza. Per un pilota non c’è alternativa: non è un optional".