Mercoledì 24 Aprile 2024

Quando a Kabul sbarcò Rambo. I talebani perdono solo al cinema

Dall’invasione russa alla lotta ai terroristi, la guerra afgana raccontata da Hollywood tra muscoli e fantasy

Una scena di Rambo

Una scena di Rambo

Se ne vanno gli americani, irrompono i talebani, il terrore invade chi resta, chi cerca di fuggire da Kabul, probabilmente troppo tardi. I telegiornali ci consegnano un film tragico, le immagini degli uomini aggrappati ai carrelli degli aerei che si staccano in volo, condannati a cadere. Il ritorno dei talebani a Kabul è il tragico finale – per il momento – di un conflitto infinito. Viene da chiedersi come lo abbia raccontato, come ce lo abbia raccontato, fino ad ora, il cinema. Il cinema americano, il nostro piatto di immagini, situazioni, sentimenti. Il cinema americano che ha raccontato con orgoglio la Seconda guerra mondiale, che ha raccontato con meno sicumera la "sporca guerra" del Vietnam, come ha raccontato questa lunga guerra del ventunesimo secolo, che ha visto scontrarsi Medioevo e tecnologia estrema, uomini con la barba fino ai piedi e droni comandati da migliaia di chilometri? È una lunga storia. Perché l’Afghanistan è teatro di guerre da quasi due secoli.

Nel 1975 John Huston, in "L’uomo che volle farsi re", raccontava le vicende di Rudyard Kipling nell’Afghanistan tribale di fine Ottocento, e Richard Lester in "Royal Flash" la guerra angloafghana del 1840. Poi la guerra fu fra americani e sovietici. E nel 1988 arrivava in Afghanistan Rambo, con i muscolacci di Stallone, l’arco, le frecce e l’elicottero. I cattivi erano i sovietici, negli anni in cui Rambo incarnava l’euforia muscolare e bellica degli Stati Uniti, e persino Ronald Reagan diceva – nel bel mezzo di una crisi diplomatica – "la prossima volta mandiamo Rambo". L’11 Settembre 2001 taglia in due la storia. Anche quella del cinema.

Ispirato al fumetto della Marvel, nel 2008 esce nelle sale Iron Man. Un successo di pubblico e critica per la pellicola sull’uomo dall’armatura rosso fuoco che fa esplodere i villaggi dei terroristi afgani. Kathryn Bigelow, invece, racconta la caccia all’uomo che ha ordinato l’attentato alle Torri Gemelle, Osama bin Laden, in "Zero Dark Thirty", del 2013. Diretto da una donna, e interpretato da una donna – Jessica Chastain – è il film più macho, più duro, più intenso, più terribile e più bello sui vent’anni di conflitto. Ci porta dentro la caccia ad Osama, ci fa stare accanto ai marines che lo hanno stanato, ma getta anche luce sui metodi di tortura degli americani per arrivare alle informazioni. Metodi di tortura su cui punta il dito il documentario da Oscar "Taxi to the Dark Side" del 2007. Racconta la storia vera del tassista che stava portando degli afghani a casa. Fermato dai militari Usa, torturato per giorni fino alla morte. Oscar. Altre vittime innocenti sono gli amici musulmani britannici di "Road to Guantanamo". Si trovano, per un matrimonio, in Afghanistan nel momento sbagliato. Finiscono a Guantanamo, detenuti per oltre due anni, innocenti. Dirige Michael Winterbottom.

Solleva dubbi di altro tipo "Good KIll", del 2014. Dove Ethan Hawke, comodamente seduto in un baracchino nel deserto americano, preme un pulsante e fa esplodere missili ad alta precisione in Afghanistan, contro persone vere, che nel video dopo un attimo sono un nuvoletta di polvere. Una guerra metafisica, virtuale, disumana. Forse il più bel film sull’Afghanistan è però girato da un iraniano, Mohsen Makhmalbaf, che in "Viaggio a Kandahar" racconta l’odissea di una donna che dal Canada cerca di raggiungere la sorella che in Afghanistan minaccia il suicidio. Dovrà nascondersi sotto il burka, celare ogni indizio di "occidentalità" allo sguardo dei talebani.

Raccontano bene il clima di paura, terrore, vendette anche due cartoni animati, "Sotto il burqa" del 2017 – ora su Netflix –, con una ragazzina costretta a fingersi maschio per sopravvivere, e "Le rondini di Kabul", del 2019, film di animazione francese disegnato con delicatezza, ma dalla narrazione straziante.

 

 

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