Lunedì 6 Maggio 2024
CHIARA DI CLEMENTE
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Il Kiefer di Wenders. In volo con Anselm:: "Siamo leggeri per paura dell’abisso"

Esce nelle sale italiane il documentario del cineasta sull’artista. Tra Celan e Bachmann, il mito e l’infanzia: "Cerco di dare forma all’immateriale".

Il Kiefer di Wenders. In volo con Anselm:: "Siamo leggeri per paura dell’abisso"

Il Kiefer di Wenders. In volo con Anselm:: "Siamo leggeri per paura dell’abisso"

Va in giro per il suo sterminato atelier in bicicletta. Mette mano ai suoi quadri monumentali dipingendo con lanci di fuoco, oppure utilizzando un gigantesco dumper cingolato grazie al quale movimenta i crogiuoli incandescenti, e le colature dei metalli sulle tele. Oppure, di notte, fischiettando, prende a spatolate il quadro a tutta parete, nella porzione salvata dal buio da un solo fascio di luce: con la spatola inzuppata nel bianco o nel nero, ora lo picchia, ora lo accarezza. È un Kiefer limpido, “confidenziale“ – pur nelle poche parole cui dà voce – e messo a fuoco perfettamente nella sua genialità, nella sua intimità e in ogni possibile significato della sua arte, l’Anselm del documentario di Wim Wenders in uscita nelle sale italiane (con Lucky Red) dal 30 aprile.

Girato in 3D e risoluzione 6K, presentato al festival di Cannes l’anno scorso, frutto di due anni di lavoro del maestro di Perfect Days, Anselm è un’esperienza illuminante sia per chi già conosce i lavori del pittore e scultore tedesco nato nel ’45 a Donaueschingen e cresciuto nel paesino di Ottersdorf, sul Reno – in una casa che nella sua missione di “archivista totale“ ha recuperato negli ultimi anni –, sia per l’assoluto neofita. Senza pedanteria e anzi con grazia incantatrice, in una sorta di gioco di specchi “generazionale“ e di risonanze sentimentali che hanno molto a che vedere con il concetto di “Heimat“ che legano lo stesso Wenders all’artista, Kiefer si rivela. La sua arte è la sua esistenza: il doc – che dopo l’introduzione in un bosco tra le sue “Donne dell’antichità“ (Die Frauen der Antike), spose in abiti bianchi di resina e gesso dalle teste / sculture di metallo, libri di piombo o semplici rami – prende il via nell’atelier di Croissy-Beaubourg, a est di Parigi, dove lavora adesso e che percorre, appunto, in bicicletta. Poi si procede cronologicamente – ogni tappa di vita è segnata dai luoghi/studio in cui ha creato –, intessendo la sua storia con inserti documentari e con inserti di fiction, in cui Anselm bambino è incarnato dal nipote di Wenders, Anton, e Anselm giovane è invece lo stesso figlio di Kiefer, Damien.

La sua arte è la sua esistenza: gli album con le foto di famiglia. L’infanzia, tra le macerie della guerra, a disegnare, ad ammirare antiche opere d’arte, a sdraiarsi tra i campi in fiore di girasole; la prima maturità a fotografare i campi di girasole desertificati dalla neve, quegli stessi fiori simulacri secchi lunghi e neri. La sua arte è quel che legge: i miti, gli Argonauti, da bambino. E Paul Celan, da cui è ossessionato, "quanto deve essere stato difficile per lui, poeta ebreo, scrivere in tedesco": nel documentario Kiefer racconta dell’incontro tra Celan e Heidegger: "si aspettava solo una parola di spiegazione sul nazismo. Ma dal filosofo non ci fu nient’altro che silenzio, niente sui suoi errori".

È il silenzio sul nazismo, è una protesta contro la non-memoria che spinge Kiefer alla fine degli anni ’60 a dare vita alla serie di foto delle “Occupazioni“, in cui in vari luoghi d’Europa emula il saluto nazista indossando l’uniforme da ufficiale della Wemacht del padre, che lo spinge alle riappropriazione di testi, miti e gesti cooptati dal Terzo Reich. Cosa provi quando ti chiedono se sei un neonazista?, gli chiede un intervistatore. E lui spiega che se si sente chiamare fascista, lo ritiene un’offesa: ho visto i miei compagni tedeschi che cercavano di lasciarsi alle spalle le atrocità naziste rifiutandosi di parlare di ciò che era successo. Per Kiefer l’arte è cercare "di riportare tutto nella memoria, e lavorarci". È trasformare quel che è represso, dimenticato, puramente intellettuale, in una forma fisica: il calore del fuoco, i semi di girasole, i pezzi di aerei usati per guerre "assurde" (la guerra del Golfo), la paglia, la pietra, le pagine dei libri, il vento che soffia, il monumentale cemento “fragile“ e in bilico dei “palazzi celesti“. Gli Angeli caduti in mostra adesso a Firenze, a Palazzo Strozzi (fino al 21 luglio).

"Le persone – spiega Kiefer nel film – cercano la leggerezza per non sprofondare nell’abisso. Fa parte della condizione umana: siamo meno di una goccia nella pioggia, di un atomo, siamo molto leggeri. Essere è un’assoluta parte del niente, nulla è una parte dell’essere". Seguono i versi di Ingeborg Bachmann, Esilio: Sono una persona morta che cammina... in soprannumero nelle città dorate e nelle campagne verdeggianti, di nulla munita ... se non di vento, di tempo e di suono.

Il doc ha il suo primo finale a Venezia, all’installazione del 2022-2023 a Palazzo Ducale: qui Kiefer confessa alla telecamera: "Mi sento sempre un esiliato, non più in corsa ma ancora sulla strada. E non posso fermarmi". Le penultime immagini sono di Kiefer vecchio che prende sulle spalle Kiefer bambino, nel bosco, lungo il fiume, tra le sue “donne dell’antichità“. Una voce scandisce: "L’infanzia è uno spazio vuoto, come è uno spazio vuoto l’inizio del mondo".

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