Giovedì 25 Aprile 2024

Bebe Vio, la vera lezione della campionessa. Un urlo vitale contro la rassegnazione

Ha coltivato il virus buono della rinascita dopo l’amputazione di braccia e gambe a 11 anni. Dalle Paralimpiadi vinte due volte all’impegno sociale: il suo coraggio contagioso è un esempio per tutti

Bebe Vio esulta per l'oro paralimpico vinto a Tokyo (Ansa)

Bebe Vio esulta per l'oro paralimpico vinto a Tokyo (Ansa)

C’è una cosa che Beatrice Maria Adelaide Marzia Vio, Bebe per tutti, insegna silenziosamente a noi italiani. In breve: smettiamola di lamentarci. Piantiamola di vedere soltanto il peggio di noi stessi. Facciamola finita con il vizio, molto tricolore, di esercitare quotidianamente la presunta arte della auto denigrazione.

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Ecco, io credo che questa sia la vera lezione che la campionessa Paralimpica del fioretto, confermatosi tale ieri a Tokyo, provvede a distillare a nostro beneficio. Urlando solo in pedana, testimoniando ogni giorno con garbo quasi adolescenziale il suo amore per l’ottimismo. E la sua fiducia nella vita. Bebe ha il sole in tasca, avrebbe detto Silvio Berlusconi quando vendeva spot per le sue televisioni. Bebe ha il cielo in una stanza, per scomodare Gino Paoli. La sua stanza. Quella che frequentava quando aveva undici anni e su in Veneto le dissero che le conseguenze di una meningite fulminante sarebbero state drammatiche. Amputazione di braccia e gambe. L’ingresso in un tunnel senza luce.

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Senza luce?!? Eh, se solo fosse possibile tradurre l’anima di Bebe in un virus, ma un virus buono, un sentimento capace di entrare sotto la pelle di ognuno di noi! Perché in quella bambina undicenne, che oggi è una donna matura di ventiquattro anni, in quella bambina, ecco, c’era il seme della rinascita, c’erano i blocchi per la ripartenza, c’era la proiezione di una vita viva, vera, bellissima. Nei giorni dell’infanzia, Bebe adorava già la scherma. Prima di essere aggredita dalla malattia, si chiudeva nella sua cameretta e a occhi aperti sognava di imitare l’idolo, quella Valentina Vezzali che con un fioretto in mano sembrava la versione femminile del D’Artagnan di Dumas. E oggi Valentina, tre volte oro olimpico nell’individuale, sta al governo con Mario Draghi. Fra vent’anni, non mi stupirei toccasse a Bebe, entrare nei palazzi del potere.

E insomma. Scappare dalla rassegnazione. Riaccendere il motore della speranza. Generare emozioni nuove. Tutto questo c’era già nella testa della ragazzina. Beatrice Maria Adelaide Marzia nemmeno ha avuto bisogno di essere incoraggiata: era lei a fare coraggio agli altri.

Una volta ho parlato con i suoi genitori. Bebe non aveva ancora conquistato il primo oro paralimpico, quello di Rio del 2016. Mi spiegarono che a loro era toccata la fortuna incredibile di essere trainati, trascinati dalla allegria della figlia. Il resto è venuto di conseguenza. Bebe è contagiosa e Dio sa quanto sia bello usare il termine in senso giusto. L’hanno portata alla Casa Bianca da Obama e dopo cinque minuti pare parlasse solo lei. Ha animato show televisivi, ha partecipato a video-clip, ha saputo trasformare la sua popolarità nella locomotiva di un messaggio sano, costruttivo, motivante.

Il tutto, badate bene, senza mai mollare il fioretto. La fama non ha attenuato la fame. Di successi. Di medaglie. Di gloria agonistica. Perché qui sta la differenza tra l’essere ’social’ ed essere autentico: Bebe, con le sue protesi, si rende conto che vincere è una missione. Come lo era nei pensieri di bambina, in una stanza che aveva il cielo e lei si teneva il sole in tasca.

Per tutti noi.