Venerdì 26 Aprile 2024

Zavoli, l’uomo che ha intervistato l’Italia. Ultimo desiderio: riposare accanto a Fellini

È morto a 96 anni il maestro che ha fatto del giornalismo una missione di impegno nei confronti della società civile. Dal 'Processo alla tappa' alla 'Notte della Repubblica', dalle inchieste sulle stragi alla presidenza Rai fino al Senato

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Affermava che "la tv può cambiare in meglio il mondo", e che quindi occorre far sì che essa "non si limiti solo a rappresentarlo o a distorcere una delle molte facce". C’è Sergio Zavoli in questo pensiero, che è al tempo stesso ricerca di conoscenza e impegno verso la comunità. Il suo ascolto, le sue formidabili interviste. Al punto che i cinquant’anni del suo lavoro alla Rai, dal 1947, quando l’inseparabile amico di Federico Fellini nei giorni del liceo classico Giulio Cesare di Rimini (che bello sarebbe stato ascoltare le telefonate delle 7 di mattina in cui i due si confidavano i loro sogni della notte), esordisce a 24 anni con le prime radiocronache sportive, fino agli anni Novanta, non sono solo un racconto personale, ma un capitolo insostituibile della storia italiana.

Zavoli, cresciuto a Rimini, era nato a Ravenna il 21 settembre 1923, e la sua Romagna gentile, educata, elegante, a cui fu sempre legatissimo, è un altro aspetto da non dimenticare nel momento del ricordo. C’era la voce in Zavoli, piana, ben articolata, quasi suadente. Il pubblico se ne accorse soprattutto allorché, nel 1962, Zavoli passa alla televisione e inventa il suo primo, straordinario programma, il Processo alla tappa, che va in onda in diretta su un palco improvvisato alla fine di ogni frazione del Giro d’Italia, commenti, interviste con i protagonisti, squarci del percorso. Sport ma non solo.

Spiegava lui: "Il mondo non è fatto di primi, ma di secondi, terzi, ultimi, di gente che arriva fuori tempo massimo pur sputando sangue", così, senza nessuna retorica, senza nessun fiato alle trombe, ma con quell’interesse per l’uomo in tutte le sue espressioni che segna il valore dell’umanesimo zavoliano.

Maestro di giornalismo, certo, capace di rivoluzionare linguaggi e – presidente Rai dal 1980 al 1986 – palinsesti, di creare uno stile oggi, ahimè, malamente calpestato dal dominio del trash, ma soprattutto maestro di cultura, di sapere, di spirito solidale. Al Processo seguono le inchieste della Notte della Repubblica e della Nascita di una dittatura (sull’avvento del fascismo), Viaggio nel Sud, e l’impostazione è quella, inimitabile, la stessa del Processo, la ricerca di una verità che va perseguita sempre, ascoltando e riferendo, si tratti del duello tra Bartali e Coppi come del paese delle stragi, dell’eversione, del terrorismo.

Zavoli fu la televisione nella più alta connotazione popolare, quella di un’informazione che nell’Italia dei non leggenti rappresentava la fonte della conoscenza. Maestro di giornalismo, va bene, ma narratore, che senza manipolazioni racconta la storia dell’Italia contemporanea come fosse un romanzo. I libri ci sono, naturalmente, come il celebre Socialista di Dio, o la raccolta di poesie Un cauto guardare o, nel 2011, Il ragazzo che io fui, sempre con quella volontà di comunicare, di farsi capire, di chiarire fatti e vicende della vita, di confessare se stesso e gli altri.

Fu Zavoli un uomo delle istituzioni? Si tradirebbe la sua memoria a negarlo. Lo fu dentro a una Rai che non conosceva ancora l’orgia delle tv commerciali. Lo fu in Senato, dove sedette dal 2001 al 2018. Lo fu come presidente della Rai e successivamente della commissione di vigilanza, come condirettore del telegiornale e direttore del Gr.

Soleva dire che "la rivoluzione non è più il cambiamento, ma la velocità di esso", quasi che non vi fosse più distinzione fra gli argomenti e i problemi che mano a mano ci vengono addosso. Socialista di Dio, come veniva soprannominato a partire dal titolo del suo volume, Zavoli è l’inventore del Processo alla tappa, il radiocronista che prende parte alla nascita di Tutto il calcio minuto per minuto, ma è lo stesso che affronta le scadenze dell’eternità, del dolore, della malattia, del Viaggio intorno all’uomo (dal titolo di un suo saggio) scrutandone il mistero, anche quello un pezzo di quell’Italia dei misteri che, in fondo, è sempre stato il suo chiodo fisso, il suo tema dalle infinite, instancabili variazioni.

Certo che rimpiangiamo Zavoli, un galantuomo come lo definisce in queste ore la figlia Valentina, rievocando il profondo disappunto del padre per "l’imbarbarimento dei costumi" e, insieme, la sua fiducia "sulla rinascita dell’Italia e degli italiani". Certo che rimpiangiamo Zavoli, così come rivorremmo la bistrattata televisione democristiana di Ettore Bernabei, la sua capacità di informare, di accogliere e utilizzare gli intellettuali di punta. Zavoli fu di questi (poco dopo il suo arrivo in Rai ci fu quello di Eco, solo per fare un esempio), il campione di una tv che poteva ben dirsi di intellettuali. Se non ce n’eravamo già accorti, la sua scomparsa ci conferma com’è ridotta la tv di cui veniamo ingozzati oggi. Ve lo immaginate come ne avrebbero sparlato lui e Federico nelle loro mattutine telefonate romagnole?

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