Mercoledì 24 Aprile 2024

Viola come il mare, belli come il sole Ma il sex symbol Can punta sulla grinta

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di Beatrice Bertuccioli

Un problemaccio la bellezza, sempre lì a dover dimostrare di possedere anche altre qualità. Ne sanno qualcosa Francesca Chillemi e l’attore turco Can Yaman, i due fascinosi protagonisti di Viola come il mare, regia di Francesco Vicario, serie in onda da oggi su Canale 5 in sei prime serate. Francesca è Viola, una ex miss Italia che, arrivata a Palermo da Parigi per cercare il padre mai conosciuto, inizia a lavorare come cronista di nera. Yaman è un ispettore di polizia e con Viola si scambiano informazioni sui casi di cui si occupano, ma è facile prevedere che andranno anche oltre. "Cosa ho in comune con il mio personaggio?", dice Francesca Chillemi, miss Italia nel 2013. "Diversi aspetti della mia vita mi accomunano a Viola. Anche io in passato ho vissuto la bellezza – spiega – come qualcosa che ti penalizza, e quindi cercavo di nasconderla. Interpretare questo ruolo è stato per me catartico perché Viola mi ha aiutato a riconoscere la bellezza come un dono di cui non mi devo vergognare".

E per lei Yaman, com’è essere considerato un sex symbol?

"Veramente io per tanto tempo non ho proprio pensato alla bellezza. Ho studiato prima in un Istituto Italiano di Istanbul, quindi mi sono laureato in Giurisprudenza e volevo fare l’avvocato. Non pensavo alla bellezza, come non ci penso adesso, quando sono a casa mia, nel privato. Sono gli altri che me lo ricordano. E comunque con la bellezza soltanto non si arriva da nessuna parte. Occorrono anche altre qualità, ambizione, grinta. La bellezza svanisce se non è accompagnata da altro".

Con questa serie ha l’occasione per far conoscere le sue qualità d’attore.

"Viola come il mare rappresenta una svolta nella mia vita, sono entrato in un altro mondo e mi ha fatto venire voglia di sfondare. Sono cresciuto tantissimo come attore".

Come si è preparato?

"Per la prima volta recito in italiano. È stata una sfida, non semplice perché dovevo imparare a memoria ogni volta una decina di pagine, in un italiano anche piuttosto forbito e con molti termini tecnici. Ma ho avuto un insegnante che tutti i giorni mi seguiva sul set e mi correggeva, e sono sempre più migliorato".

Com’è stato girare a Palermo?

"Eravamo tutti nello stesso albergo e questo ci ha resi ancora più uniti e affiatati. E ho ricevuto tanto calore dalla gente che si accalcava davanti all’hotel e questo mi ha dato ancora maggiore motivazione nel dare il massimo".

Ha trovato differenze tra il modo di lavorare in Italia rispetto al suo paese?

"In Turchia ero abituato a improvvisare. Almeno il 50 per cento di quello che giravamo era frutto di improvvisazione. E poi si gira tantissimo e va subito tutto in onda. Qui abbiamo girato per sette mesi e poi andranno ora in onda sei serate. Nel mio paese, se giri per un anno, per un anno sei in tv. Ma la differenza maggiore è un’altra".

Quale?

"Per sette anni in Turchia ho lavorato 15-16 ore al giorno. Una volta abbiamo lavorato 36 ore di seguito. È illegale ma si usa così e questo mi ha fatto diventare una macchina da guerra, abituato a lavorare anche in situazioni estreme. Qui, un giorno erano terminate le consuete dieci ore di lavoro, e il regista timidamente mi ha chiesto, possiamo girare ancora per dieci minuti?".

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