Mercoledì 24 Aprile 2024

Quando gli italiani si innamorarono del Duce

Bruno Vespa affronta un aspetto ancora irrisolto della nostra storia: il consenso al fascismo. Per poi sconfinare nell’attualità del virus

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di Pierfrancesco De Robertis

Dire se sia il più bello non è facile, perché l’offerta è comunque sempre stata di alto livello, ma certamente "Perché l’Italia amò Mussolini (ed è sopravvissuta alla dittatura del virus)", edizioni Mondadori è il libro più difficile e coraggioso del principe dei giornalisti italiani, Bruno Vespa: fare la storia di quel periodo non è stato mai facile, perché sono passati cento anni ma i nervi ancora scoperti sono tanti, farla decidendo di percorrere la strada angusta della verità storica e non della vulgata mainstream è stato un atto di autentica audacia che Bruno Vespa ha compiuto servendosi dell’arma che più gli è propria da sempre, quella del rigore del cronista che vede e racconta. Semplice a dirsi, meno a farsi.

Dopo Perché l’Italia diventò fascista pubblicato l’anno scorso, il conduttore di Porta a porta aveva davanti a sé il racconto degli anni che seguono l’instaurarsi della dittatura (la data convenzionale è il 3 gennaio 1925) e che arrivano alla fondazione dell’Impero (1935). Anni che segnarono l’apoteosi del regime (regime, appunto, non una democrazia e Vespa non cade mai nel tranello) ma soprattutto videro il nascere di un fenomeno storico ben preciso, innegabile: il consenso al fascismo.

Brutto a dirsi adesso, bruttissimo ricordarlo ma vero: il fascismo, almeno in quegli anni visse con consenso della stragrande maggioranza degli italiani. Si, certo, c’erano state le violenze degli squadristi, c’erano stati alcuni efferati omicidi politici (niente in confronto a quello che accadde con le epurazioni di massa nei regimi comunisti in Unione sovietica o che sarebbe accaduto nella Germania nazista), c’era la censura e la democrazia era sospesa. Ma gli italiani in quegli anni espressero massiccio consenso al Duce e al suo fascismo. Gli italiani e non solo, peraltro, perché, come ricorda Bruno Vespa, Mussolini ebbe entusiastici estimatori nella maggiori cancellerie democratiche dell’epoca (Churchill più volte spiegò di "essere entusiasta di Mussolini"). Ecco tutta questa semplice verità ha attirato sull’autore le grida scandalizzate di chi insieme alla condanna del fascismo (che è netta da parte del giornalista) vorrebbe promuovere l’assoluzione, anzi l’autoassoluzione, dell’intera società italiana del tempo.

Troppo comodo, pare dirci Vespa, sarebbe come se adesso i tedeschi ci spiegassero che i forni crematori non li avevano fatti i loro nonni... Vespa invece analizza i fatti, mettendo nel conto fin dall’inizio lo scandalo che questo libro avrebbe potuto sollevare, come d’altra parte successe al più grande storico italiano del Novecento, Renzo De Felice, cui non bastò la conclamata fama di serietà e rigore antifascista per evitarsi negli anni Settanta l’accusa dal sapore staliniano di revisionismo.

Ma il lavoro di Vespa non si limita a un racconto storico e compie il salto che solo il grande cronista può permettersi, quello di mettere a confronto la storia con l’attualità. Operazione già portata avanti nel libro dello scorso anno (gli anni successivi alla prima guerra mondiale, al biennio rosso e alla nascita del fascismo hanno alcune assonanze con il grande rovesciamento dell’epoca presente) e ripetuta adesso.

Così la dittatura di cento anni richiama la dittatura con cui ci siamo dovuti confrontare in questo disgraziato 2020, quella del virus, con una carrellata di personaggi, volti e storie che richiamano i momenti più difficili appena trascorsi, e purtroppo ancora non terminati. Da affrontare con fiducia. L’Italia è uscita con forza da una dittatura 70 anni fa, pare dire Vespa, ce la farà anche stavolta.

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