Venerdì 26 Aprile 2024

L’altra vita di Adèle: non rifarei le scene hot

La Exarchopoulos a Cannes nove anni dopo le polemiche per l’amore gay e il sesso nel film di Kechiche. "Ora cerco dolcezza"

di Giovanni Bogani

Era il maggio 2013. Quasi dieci anni fa. Qui a Cannes, veniva proiettato un film che avrebbe cambiato la storia di questo festival. La vita di Adèle raccontava, in un racconto lungo tre ore, una relazione amorosa fra due giovani donne. E nessuno, fra migliaia di giornalisti e spettatori, ne rimase indenne. Chi lo aveva adorato, chi lo aveva detestato: ma tutti infiammati, sconvolti da quell’affresco di una passione, dall’incontro timido alla rottura drammatica, passando attraverso le tappe di una relazione sessuale, vorace e carnale. Insieme a Léa Seydoux, la protagonista era una sconosciuta di diciannove anni, Adèle Exarchopoulos. Non doveva essere un ruolo così importante, il suo. Ma appena la vide, il regista Abdellatif Kechiche fu conquistato dalla sua presenza, dalla sua intensità: e volle che fosse presente in ogni inquadratura. Il film vinse la Palma d’oro, e il presidente di giuria Spielberg pretese – con un’eccezione storica al regolamento – che il premio fosse assegnato al regista, ma anche alle due giovani attrici. Immediatamente divamparono le polemiche: anche sulla lavorazione del film. Si disse che il regista urlava contro le sue due attrici, o intimava loro di continuare, senza fermare di riprendere, anche quando non ne potevano più.

Adèle è rimasta sospesa fra lo stress e la gratitudine infinita. "Dopo quel film, ritrovare una simile libertà è stato molto difficile", ha detto. E ha anche ammesso: "Oggi, su un set, voglio dolcezza". "Sì, non rifarei quelle scene". Di certo, non si lancerebbe in un’avventura così totalizzante e traumatizzante. Ma dice anche: "Kechiche non è né la vittima che lui vorrebbe, né il tiranno che si crede".

A diciannove anni, così, Adèle era la protagonista di un film e di uno scandalo. Dopo quel film, Adèle ha rifiutato i copioni pieni di scene di nudo, le storie d’amore omosessuali. Si era persino allontanata dal cinema. Era finita a vendere panini in una sala da concerti, l’AccorHotels Arena, dove suo padre lavorava nel settore ristorazione. Certi clienti le trovavano una certa somiglianza con "quella ragazza che era a Cannes", e lei diceva: sì, è mia cugina. A Cannes, quest’anno è presente con due film: Fumer fait tousser di Quentin Dupieux, una commedia corale, e Les cinq diables di Léa Mysius, presentato ieri alla “Quinzaine des réalisateurs“.

Adèle, che tipo di impegno è stato, girare questo film?

"Sono la madre di una bambina che ha degli strani poteri, delle strane sensazioni. E che riesce a intuire il legame che c’è fra me e la sorella di mio marito. Ho cercato di trovare il personaggio attraverso il corpo, i suoi gesti".

Il rapporto con il suo corpo è cambiato?

"Qui ho lavorato molto con il corpo, perché nuoto. Mi immergo in un lago gelato, e per allenarmi ho nuotato molte ore al giorno. Ma la regista, Léa Mysius, non mi ha chiesto di esibire la mia fisicità se non in questo senso. Ciò che conta, per lei, sono gli occhi, è tutto negli occhi: gli occhi di Sally Dramé, la bambina che interpreta mia figlia, e quelli di Swala Emati, che interpreta la sorella di mio marito".

Anche nei Cinq diables, si tratta di una passione omosessuale. Ma viene messa in scena, raccontata con una delicatezza tutta diversa.

C’è una scena in cui la sintonia fra lei e Swala si sente, senza bisogno che si veda niente…

"Sì. È quando cantiamo in un karaoke Total Eclipse of the Heart. Io non trovo la nota, scivolo nello smarrimento. Poi lei mi viene incontro con la voce, mi sostiene, e io trovo l’intonazione, la fiducia, il sorriso, l’amore".

Colpisce che la famiglia del film sia interrazziale, in un paesino sperduto di montagna del Rhone-Alpes…

"Perché il film vuole dimostrare proprio questo: il meticciato è una realtà, e non lo è solo nei grandi centri. Anche in provincia, anche nei piccoli villaggi ci sono coppie miste, e bimbi meravigliosi nati da due genitori dal colore della pelle diverso".

È cambiata, dal tempo de La vita di Adèle?

"Adesso il cinema non è più una casualità, non è più un episodio. Adesso ho un figlio di cinque anni, Ismael, e il cinema è il mio lavoro, la mia professione, quello che faccio e quello che farò, anche per lui. Mi dedico a ogni progetto con una attenzione, una passione, una disciplina infinita".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro