"Ho sempre avuto la sensazione che la mia scrittura avrebbe avuto una vita più lunga dei miei film. È la lingua, la poesia che sopravvivono. Il cinema è il mio viaggio, ma la lingua, la scrittura, è la mia casa": il regista e scrittore Werner Herzog, ieri al Salone internazionale di Torino, ama leggere Virgilio in latino o poesie in islandese antico, ascoltare Beethoven, ma quando scrive usa la sua lingua, il tedesco, anche se dice che "la mia lingua madre è il bavarese".
Messo a confronto con l’ex calciatore Franco Baresi, incontrato dopo un lungo periodo di contatti a distanza, ha detto di apprezzare "la sua integrità, il fatto che abbia un’ombra sulla sua anima, il rigore sbagliato col Brasile, con lui ho in comune l’aver imparato a convivere con la sconfitta e a rimettersi in piedi e andare avanti".
Si è raccontato così il regista e scrittore, alla presentazione del suo libro Il crepuscolo del mondo, la storia di Hiroo Onoda, sull’ultimo soldato giapponese rimasto a combattere da solo nelle Filippine perché non sapeva che fosse finita la guerra.
Per Herzog la scrittura è fondamentale. "A volte quando sono sotto pressione scrivo, altri si rifugiano nelle droghe o in una setta folle, il mio ultimo rifugio invece è la scrittura. Spesso i giovani registi mi chiedono cosa devono fare per fare film, io gli dico viaggiate a piedi e leggete leggete leggete leggete".
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