Mercoledì 24 Aprile 2024

La nuova architettura nel segno di Brunelleschi

Sabato al via la Biennale dedicata al tempo e agli spazi della pandemia. L’esempio della cupola fiorentina: un prodigio dell’anima

di Davide Rondoni

Nell’anno della pandemia gli architetti si interrogano. E la Biennale di Venezia che apre sabato diventerà il grande ritrovo degli architetti interroganti. Nella presentazione il gran cerimoniere della Biennale Hashim Sarkis inanella tutte le questioni e parole mainstream del momento (da resilienza a genere). Gli architetti si interrogheranno sull’abitare nel e dopo il tempo pandemico. Ma questo oltre che pandemico è stato anche il periodo in cui si sarebbero dovuto i festeggiare i 600 anni (1420-2020) dell’avvio dei lavori della prodigiosa cupola del Brunelleschi.

Offro poeticamente agli architetti interroganti questa concomitanza. Pandemia e Brunelleschi. Per uscire dalle strettoie imposte dalle parole mainstream. Una civiltà dove la vita era fragile e esposta a virus di ogni genere concepì un prodigio architettonico che era legato all’anima. Un capolavoro architettonico come inno al senso della vita, al rapporto con l’eterno e non solo un’architettura legata alla durata orizzontale.

Presentando il Padiglione Italia, “comunità resilienti” (ma non potrebbero usare parole che ormai sono usate pure nei documenti economici del governo? Come fanno a ritenerle “innovative”?) il curatore Alessandro Melis ci spinge a riflettere sul rapporto tra archiettura e ecologia, invitando in linea con quanto la paleontologia dice già da tempo, basti vedere gli studi di Fiorenzo Facchini, a considerarsi come essere umani una eccezione nella evoluzione grazie alla capacità di un pensiero associativo e creativo. Da tale risorsa può venire una architettura all’altezza delle sfide. Paradossalmente, afferma Melis, in un periodo di chiusure e distanziamenti imposti "la società deve chiudersi il meno possibile, distanziarsi il meno possibile". In tal senso, Brunelleschi avrebbe qualcosa forse da dire agli architetti interroganti. Quella sua cupola immagine del ventre incinta d’eterno di Maria del Fiore distesa sull’Arno, abita tra gli abitanti in modo “associativo e creativo”, introducendo nell’orizzonte un luogo di congiungimento sociale e di apertura suprema al Cielo e agli altri fratelli.

E potrebbe essere interessante per gli architetti mentre vanno a Venezia sostare a Bologna dove al Villaggio a Villa Pallavicini a Bologna c’è la corte abitativa di una delle più grandi comunità in co-housing d’Europa, con famiglie di venti nazioni diverse. Un esempio di comunità e un’architettura resilienti, se proprio volete chiamarla così ma preferisco semplicemente “vive” perché – figlio di capomastri lo so – la parola resiliente in realtà indica un materiale che prende un sacco di colpi senza scomporsi ( un po’ come gli schiavi no?)

Dopo questi mesi di nuova e terribile esperienza delle città e dell’abitare, della distanza, l’architettura interrogandosi ci interroga tutti. E Melis lo fa con coraggio. Sarà importante non accontentarsi di parole e tendenze già presenti e dominanti nel dibattito.

E se in Italia i problemi di sussistenza di tanti bravi e giovani architetti sembrano legati a motivi più terra-terra, complici anche le questioni legate ai provvedimenti di sostegno alla edilizia che vedono, spesso per motivi legati alla burocrazia, molti ingegneri sopravanzare gli architetti, è vero che l’ombra lucente di Brunelleschi li invita a guardare in alto. Come fa, ad esempio, il lavoro di uno dei selezionati al Padiglione Italia, Simone Subissati, con la sua Casa di Confine. Sta là sulla soglia tra infinito e abitazione. Non d’altro genere può essere l’umana dimora.

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