Mercoledì 24 Aprile 2024

IO, STING E BIG LUCIANO

"pavarotti mi VoLLE NEI SUOI CONCERTI. COSì HO conoscIUTO MOLTE popstar. e l’ex dei Police è ANCHE UN CARO AMICO"

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Anche lui, come tanti bimbi, ha iniziato con il flauto dolce, alle medie di Correggio (Reggio Emilia), lo stesso paese di Luciano Ligabue e Pier Vittorio Tondelli. Ma in un mese aveva già imparato tutti i brani previsti nel programma di tre anni. "Maria Motti, la mia prof di musica a scuola, era una violinista e suonava un prezioso Amati: mi regalò un disco di Severino Gazzelloni e mi incoraggiò a intraprendere gli studi di flauto traverso", racconta Andrea Griminelli, flautista acclamato sui palcoscenici più prestigiosi, in tutto il mondo. Luciano Pavarotti stravedeva per lui e lo ha voluto sempre con sé nei suoi tour: e come Pavarotti, Andrea Griminelli ha saputo far incontrare la classica e il pop, perché la musica non ha età o confini.

Maestro, lei dunque ha iniziato la sua carriera giovanissimo...

"Mi sono diplomato al liceo musicale di Reggio Emilia, e a vent’anni già avevo un posto nell’orchestra del teatro La Fenice di Venezia, oltre a un insegnamento a Ferrara. Ho mollato tutto per andare a studiare a Parigi con Jean Pierre Rampal: lui e James Galway sono sempre stati i miei miti".

Un bel coraggio...

"Più che altro una bella passione: del resto, Steve Jobs ha detto che bisogna essere fanatici della passione. Quando si ama così tanto quello che si fa, tutto diventa poi un piacere".

Cosa ha di speciale il flauto?

"È diverso da tutti gli altri strumenti. Il clarinettista o il chitarrista possono guardarsi le mani, un pianista può contare sulla memoria visiva ma un solista al flauto, se non deve leggere lo spartito, ha di fronte a sé soltanto il vuoto e questo richiede fortissima concentrazione. E poi, il flauto canta..."

Ovvero?

"Senza dubbio è lo strumento più vicino alla voce umana. Non a caso Pavarotti mi chiese di affiancarlo nei concerti: ero il suo ‘soprano’. E col tempo, ho appreso a usare il vibrato come i cantanti, sviluppando vari timbri. Nell’album ‘Nessun dorma’ (Decca), ho proprio reinterpretato al flauto le principali arie d’opera".

A proposito di Pavarotti... come lo conobbe?

"Il suo più grande amico, Franco Casarini detto Panocia, era il mio vicino di casa a Correggio, e un giorno mi invitò a pranzo proprio quando c’era Pavarotti. In quel periodo studiavo a Parigi: ci vedemmo spesso proprio là, e nacque così il nostro percorso che, grazie a lui, mi ha portato a conoscere altri grandi artisti, come Bocelli o Zucchero".

E Sting...

"Già. Quando studiavo al conservatorio, ero talmente concentrato sulla musica classica che i Police per me erano sconosciuti. Con Sting siamo poi divenuti superamici, al punto che è stato anche il mio testimone di nozze. E l’anno scorso, per il concerto dei miei 60 anni, è arrivato a Reggio appositamente da New York: solo per amicizia".

Al Memoria Festival di Mirandola ha proposto un omaggio al maestro Ennio Morricone. Che ricordo ha di lui?

"Fin da quando avevo sette anni, ascoltavo la sua musica e mi venivano i brividi. Poi ho avuto la gioia di lavorare con lui che scrisse per me anche un ‘Concerto per flauto’ eseguito in prima mondiale a Torino. Quattro anni fa, quando ha ricevuto l’Oscar per "The Hateful Eight" di Tarantino e gli hanno dedicato una stella sulla Walk of fame a Los Angeles, gli ho fatto una sorpresa e sono andato a suonare ‘Gabriel’s oboe’, il tema di Mission. Temevo che non gli piacesse la versione per flauto... E invece lui ne fu entusiasta e mi disse ‘Dovrò ribattezzarlo Andrea’s flute’... Prima che venisse a mancare, stavamo realizzando un disco insieme. Porterò avanti il progetto, con alcuni ospiti: ci sarà anche Sting che ha già registrato un brano con me".

Qual è stato il suo concerto più emozionante?

"Sicuramente quello in Central Park con Pavarotti: ero giovanissimo, davanti a 500mila persone dal vivo e un miliardo di telespettatori in mondovisione. Suonai brani molto difficili, così, senza rete: un pazzo".

E il luogo più strano dove le hanno chiesto di suonare?

"Sull’Himalaya, per idea di un maharaja. Eravamo a 5800 metri, ho dovuto anche portare l’ossigeno. Un’esperienza incredibile".

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