Mercoledì 24 Aprile 2024

Il vero Warhol, più cristiano che trasgressivo

Una mostra e un nuovo studio approfondiscono il lato intimo del maestro della Pop Art: la fede profonda anche al centro delle sue opere

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di Davide Rondoni

È che lui continua a essere uno scandalo. Non ci possiamo far niente, lo vorremmo in un posto e sta in un altro, ci pare abbia certe caratteristiche e invece ne rivela di opposte. Si accompagna a gente poco raccomandabile. Non distingue convenienza e decoro. Sto parlando di Gesù. Che non a caso si trova intrecciato a vite spesso bizzarre e sorprendenti, e a vite di grandi artisti del nostro tempo.

Andy Warhol e Gesù, strana faccenda. Eppure, dopo vari approfondimenti e in vista della mostra dedicata al tema Andy Warhol: Revelation che – bloccata nei mesi scorsi a Pittsburgh dalla pandemia – aprirà al Brooklyn Museum il mese prossimo, la lettura di un libro edito da Ares di Michele Dolz, Andy Warhol nascosto conferma: non ci sarebbe l’arte contemporanea senza la fede cristiana. Senza Cristo non ci sarebbe. In genere, si è portati a pensare che le vicende e le figure della fede siano questioni che riguardano l’arte e gli artisti del passato. I tormenti di Michelangelo, di Caravaggio, la devozione del tremendo Guido Reni.

Ma ci sarebbero Bacon e Warhol senza Cristo ? No.

Si badi: qui non si fa la etichettatura di nessuno, nè si pesa la fede personale di nessuno, figuriamoci la morale – questo lo lasciamo ai moralisti di ogni risma che si nascondono ovunque. No, le etichette sono il contrario del senso critico e la fede di una persona è insondabile, non misurabile. Ma qui si guarda un fatto. Che è questione culturale.

Gli eccentrici figuri radunati nella Cattedrale di New York per la celebrazione del funerale dell’artista morto misteriosamente a seguito di una operazione rimasero in parte sorpresi (e in parte no) nel sentire il discorso funebre. Il noto critico d’arte John Richardson tratteggiava la figura di chi era chiamato Mr Mistero per il mix di esibizione e di timidezza.

Parlò di "un aspetto del suo carattere che nascondeva a tutti tranne che ai suoi amici più stretti: l’aspetto spirituale. Quanti di voi lo hanno conosciuto in circostanze che erano agli antipodi della spiritualità potrebbero essere sorpresi dall’esistenza di questo aspetto, ma c’era, ed era fondamentale per la mente dell’artista". La spiritualità di Warhol, scomparso a 59 anni il 22 febbraio 1987, era cristiana, fatta di più soste in chiesa durante la settimana, di preghiere nella casa piena di icone con la madre, e visite alla Madonna di Guadalupe, dove il compagno di viaggio testimonia che fece "tutte le cose che fa un cattolico", e di incasinate udienze con Papa Wojtyla. Ebbe la carità offerta in modo semplice nelle mense parrocchiali.

Se ne ha speciale fuoco nel lavoro artistico negli ultimi mesi concentrato a ridare, quasi con più "amorevolezza", sottolinea Dolz, la scena della Cena di Da Vinci a Milano, nella sua ultima mostra e apparizione pubblica. Le croci e altro entravano sempre nelle sue opere, in mezzo all’infinito catalogo, a volte morboso, certo iconico, del mondo. Dal suo angolo quasi distaccato da eventi, corpi, eventi, Warhol captava la forza di pura presenza del mondo. Quella "cosa" che il nihilismo contemporaneo stava corrodendo. E non fece arte con la dislocazione in ambiente artistico di oggetti, il readymade di tanti da Duchamp in poi, ma, nota Dolz, con la forza di ridare natura di "segno" agli oggetti. Come certe mele di Cezanne, sedie di Van Gogh.

Presenza che porta inquietudine circa il suo senso e la sottrazione al nulla. Non ha fatto questo Warhol anche a costo di ogni esibizione? La presenza iconica di un volto, di un oggetto dei più comuni, non provvedono, grazie al genio artistico (e grande lavoratore), a illuminare la natura di segno, di domanda, quasi preghiera?

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