Mercoledì 24 Aprile 2024

Guccini, domenica grande festa per gli 80 anni. "Avevo previsto tutto questo"

A Modena festeggiamenti per il simbolo vivente di un pezzo di storia del Paese: da "Dio è morto" a "Eskimo"

Francesco Guccini

Francesco Guccini

Bologna, 5 giugno 2020 - L'eskimo di Guccini era davvero innocente. E, forse, l’abbiamo sempre saputo. Ma non abbiamo voluto crederci, fino in fondo. "Lo comprai in un mercatino militare nel 1963 – raccontò il cantautore qualche anno fa –. Costava diecimila lire. Anni dopo mi ritrovai in un mondo di eskimo". Il Sessantotto non era ancora arrivato. Ma l’equazione Guccini uguale Sessantotto è forse una delle più scontate. Serve a rinverdire i pensieri di una generazione. Ma Guccini era già “vecchio“ (ventotto anni), per modo di dire, quando il Sessantotto si manifestava in Italia: la Cattolica occupata sul finire del 1967, il lancio delle uova sulle pellicce alla prima della Scala, il capo della rivolta, quel Mario Capanna (che scrive, qui a fianco), col microfono o col megafono in prima fila a tutte le manifestazioni e col futuro da leader già assicurato. Formidabili quegli anni, come ebbe a dire lo stesso Capanna o fu solo nostalgia?

Guccini, Capanna: "Noi e Francesco, formidabili quegli anni"

Di certo, per sua stessa ammissione, Guccini non aveva letto a fondo né l’opera di Marx, né la Scuola di Francoforte (dal Marcuse de "L’uomo a una dimensione" come feticcio delle proteste alla Cattolica, ad Adorno). Anche se poi uno ascolta "Dio è morto" e non tanto la parte finale, quanto quella centrale in cui Guccini canta "nei campi di sterminio Dio è morto", e si sente, magari, dire: "Geniale, ha messo in musica la dialettica negativa della Scuola di Francoforte, meglio di un testo di Adorno". Quella canzone squarciò l’Italia: la radio nazionale, in un paese votato al perbenismo, la censurò, Radio Vaticana la mandò in onda. Canzone generazionale che l’Equipe 84, un po’ preoccupata dal testo, si rifiutò di cantare, nonostante il pressante invito di Guccini. Ci pensarono i Nomadi di Daolio e Caterina Caselli – una coincidenza del genere non si sarebbe mai ripetuta – a incidere contemporaneamente la canzone nell’aprile del 1967. Era primavera, ma ci sarebbero ancora voluti mesi perché il Sessantotto arrivasse in Italia. E Guccini più che leggere Fromm e Marcuse, abbassava la testa sui libri di Borges e Kerouac. Non c’erano highway americane da cantare, ma la più prosaica Via Emilia e l’autostop, al massimo, sugli Appennini, tra Pistoia e Modena, nella sua Pavana (lui che non ha mai avuto la patente).

E anni dopo, quando Sessantotto e Settantasette e tutta quella stagione creativa e tragica era quasi alle spalle ma non totalmente archiviata, c’erano gli Autogrill, cantati tra birre e SevenUp mescolate alla buona. Con le occasioni mancate. Gli anni del riflusso. E poi quel manifesto per i suoi concerti – barba, capelli (ancora) neri e maglione – sempre uguale negli anni. La bottiglia di vino sul palco, la camicia fuori dai pantaloni, le battute con Vince Tempera e il fido Flaco, come se il tempo non fosse mai passato. In attesa dei classiconi "politici", anche se lui stesso si è schermito in passato ("Io cantautore politico? Giammai"), da "Dio è morto" a "La locomotiva" e poi l’"Eskimo" che è canzone-feticcio per quel giaccone verde militare divisa di una stagione, ma anche perché continua a smuovere sentimenti e passioni, dopo anni, non solo per quell’"avevo la rivolta tra le dita" ma anche per una liberazione sessuale, messa giù e cantata con quattro accordi. Sì, l’effetto nostalgia. Di un mondo che non esiste (quasi) più. Anche in politica. Così come lo stesso Guccini, da scrittore, ha raccontato nei due dizionari delle cose perdute.

Il 14 giugno il Maestro fa ottant’anni. Ha rappresentato una generazione e anche i figli di quella generazione, che sin da piccoli sono stati portati ai suoi concerti. E che, tra cassette ascoltate dall’autoradio e dischi fatti girare sui vecchi piatti, si sono sentiti poi raccontare a casa: "Ah, il Sessantotto". "Però io non ho mai detto che a canzoni, si fan rivoluzioni, si possa far poesia. Io canto quando posso, come posso". Così canta ancora il Maestro, anche se non fa più dischi e concerti. Perché una canzone è per sempre.  

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