Guccini, 80 anni. "Noi e Francesco, formidabili quegli anni"

Il ricordo dello storico leader della Contestazione: "Le sue canzoni sono state il lievito culturale del Sessantotto"

Un giovane Francesco Guccini all’osteria delle Dame di Bologna (1972)

Un giovane Francesco Guccini all’osteria delle Dame di Bologna (1972)

Roma, 5 giugno 2020 - Grande, grandissimo Guccini. Non si può definire diversamente chi ha scritto canzoni intramontabili, una più bella dell’altra. Che, non a caso, piacciono ai suoi coetanei e, insieme, ai loro figli e nipoti. Ai suoi concerti, tutti affollatissimi, hanno partecipato ‘vecchietti’ e giovani, e ne uscivano entusiasti gli uni e gli altri. 

Guccini, domenica grande festa per gli 80 anni. "Avevo previsto tutto questo"

Il segreto del successo credo risieda in una molteplicità di fattori: l’elevata cultura dei contenuti, che però si snoda in modo semplice, con ritmi a volte pacati a volte incalzanti; la poesia dei messaggi, spesso utopici ma sempre ancorati alla realtà da trasformare, e la raffinatezza della musica; la sua voce profonda, che esce da un corpaccione alto e massiccio, da cui trasudano simpatia, giovialità e ironia, che sembrano contagiare anche la chitarra. Il contrario del cantautore esangue (gli fa onore non essere mai andato a Sanremo): come ho potuto vedere direttamente una volta, non saliva sul palco se non dopo una pantagruelica mangiata con adeguata bevuta, premessa necessaria, forse, per la carnalità onniavvolgente del suo rapporto con il pubblico. 

Nel 1968 Guccini aveva 28 anni. Era già ’vecchio’, un matusa si sarebbe detto secondo il linguaggio di allora. E lui stesso ha dichiarato più volte che il Sessantotto gli è come passato sopra: ne respirò il clima di inedito rinnovamento, ma non partecipò al crogiolo delle mobilitazioni. Eppure alcune sue canzoni, di poco precedenti, hanno presagito il Sessantotto, con messaggi profondi che hanno contribuito al lievito culturale che avrebbe nutrito la svolta epocale. 

Penso a Dio è morto, con il suo forte contenuto di palingenesi, e a Auschwitz, che oltre allo sgomento dei forni crematori nazisti, apre una pagina di pace contro la guerra. La locomotiva, del 1972, finisce con il prolungare il messaggio del Sessantotto, con l’epico inno a favore degli oppressi e contro ogni ingiustizia. Ricordo che prima di uscire di casa, per una giornata di assemblee, comizi e cortei, ascoltavo le canzoni di Francesco, che mi trasfondevano una carica ideale intensa. Guccini e io ci siamo conosciuti tardi. 

A Siena, nel 2006. Dibattemmo insieme, moderati da Vincenzo Mollica, di fronte a un folto pubblico di studenti e giovani. Furono simpatia e sintonia immediate. Qualche anno dopo andai… in pellegrinaggio a Pavana. Gli proposi di cantare Il mercato di Giorgio Gaber (brano tuttora di un’attualità sconcertante) come suo omaggio all’altro graffiante cantautore. Lo ascoltò e lo apprezzò molto, ma non se la sentiva. Cercai di invogliarlo, dicendo: "Tu fai la parte cantata e io recito i brani del monologo". Rispose che l’idea lo stuzzicava molto, ma… "se ti dico di sì poi non ci dormo la notte". Più tardi lo facemmo Giulio Casale ed io. 

Il Guccini che ho conosciuto è sempre stato così: consapevole del proprio valore artistico, ma modesto fino all’eccesso. Tratto, questo, degli spiriti elevati. Giunto a 80 anni, sono certo che ci regalerà altre sorprese. Tanto è ricco il suo animo.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro