Venerdì 26 Aprile 2024

Emma Marrone: "La mia vita guerriera, in lotta con le paure"

"Sorrido ai miei anni ribelli. E piango davanti ai tramonti"

Emma Marrone

Emma Marrone

Roma, 22 maggio 2018 - Emma c’è ancora qualcuno che la chiama Emmanuela?

«Sì, mia madre quando è molto arrabbiata».

Perché?

«Perché di solito a casa tutti mi chiamano Chicca; mamma il mio nome di battesimo lo usa solo quando vuol mettermi in riga».

Per il resto del mondo lei rimane Emma.

«A dirla tutta avrei dovuto chiamarmi Chiara. Poi però Chiara Marrone “…per gli amici Beige” sarebbe stato fonte di prese in giro continue».

Quindi?

«Mia madre stava partorendo. E nessuno sapeva come chiamarmi. Alla fine fu proprio lei a decidere: Emmanuela, che in ebraico significa “Dio è con noi”. Viste le difficoltà del travaglio, infatti, se in quel momento non ci fosse stato un aiuto divino saremmo schiattate tutte e due».

Adesso lei è in viaggio in tournée con l’ultimo album “Essere qui”: domani sera l’attende il Palasport di Firenze. Ma il viaggio-vacanza più bello?

«Quello “on the road” da un capo all’altro della California con due mie amiche».

Come Thelma e Louise?

«Visto che eravamo in tre, casomai come Ninì, Cocò e Manico di Secchio. Con Francesca e Veronica abbiamo condiviso per dieci giorni lo stesso letto e lo stesso bagno. La cosa bella e che questo viaggio è coinciso con un momento personale della vita di ciascuno, diventando una fuga a tre da quel che ci stava accadendo».

Com’è andata?

«Abbiamo pianto davanti ai tramonti, ci siamo raccontate davanti ai bicchieri di vino, divorato tonnellate di cheesecake, e mangiato il granchio con le mani, come camioniste, sul molo di Santa Cruz».

Il viaggio che non ha ancora fatto?

«Alla scoperta dell’Africa nera. Con lo zaino in spalla perché non amo i viaggi comfort, ma preferisco quelli spirituali. Da persona paranoica, molto ipocondriaca, che ha paura di tutto, mi piace l’idea di un viaggio capace di tirare fuori i mostri che mi porto dentro».

A cominciare?

«…dalla paura di morire. Sì, ho una tremenda paura di ammalarmi».

Davvero?

«Per strada tutti vogliono baciarmi. Spesso mi scanso, non è perché provo fastidio, ma perché ho paura dei bacilli. Con un padre che lavorava al pronto soccorso, la paura delle malattie me la porto addosso fin da bambina. A forza di responsabilizzarmi sui rischi della salute, papà m’ha un po’ traumatizzata. E lo sa».

Il nome Lucky Star, suo primo gruppo, cosa le fa venire in mente?

«Un momento bello della mia vita, perché ero giovanissima, scapestrata, ribelle; una scappata di casa con tutte le sofferenze di chi si scopre artista e non sa da che parte cominciare a costruire la sua vita. Con un padre che, per proteggermi, mi diceva: ma dove pensi di andare?».

Chi era il mito di quella scapigliatura?

«Vasco. Per me la musica è Vasco. E penso di essere destinata a Vasco. A volte penso di fare questo mestiere solo per arrivare a condividere un momento d’arte pura con lui. Potessi solo parlargli per cinque minuti da sola davanti ad un bicchiere, sono certa che troverei il modo di farmi apprezzare per quel che sono».

Altro mito?

«Pino Daniele. Sono un po’ impaurita dall’idea che il 7 giugno al San Paolo ci duetterò nuovamente assieme “Io per lei”. Sul palco saremo io e la sua voce. Ma nel corso della serata canterò pure “Quanno chiove” con Giuliano Sangiorgi e la band di “Nero a metà” con James Senese».

La malattia alle ovaie di 13 anni fa ha lasciato strascichi?

«Sono stata operata due volte. Ora sono mono ovarica, credo di poter avere figli. Ma, per qualsiasi evenienza, ho fatto il surgelamento del tessuto ovarico».

E ci sarebbe, al momento, la materia prima per il lieto evento?

«No, al momento non c’è nessuno».

Stefano De Martino, Marco Bocci, Marco Borriello. Star del calcio, del cinema e della tv; ma un idraulico o un professore di matematica no?

«Quella che i poli opposti si attraggono è una grandissima idiozia, di cui spesso ci si riempie la bocca per non accettare la realtà. Io non avrei problemi a stare con un idraulico, ma probabilmente sarebbe lui ad averne a stare con me; perché non capirebbe le dinamiche del mio lavoro, le mie assenze, il lavoro fino alle 4 del mattino. Tra simili ci si riconosce, tra opposti no. E non è una questione economica, perché, continuo a vivere come quando facevo la commessa a 300 euro al mese».

Si dice che nessun maschio sia riuscito a conquistarla più di Gaetano, il suo bulldog.

«È il mio bambino. Anzi, il mio terzo fratello. Ma ho dovuto, purtroppo, affidarlo ai miei: e forse l’unica scelta non egoistica della mia vita l’ho fatta verso il mio cane, l’unico che mi ha dato amore incondizionato. Adesso fa una vita dignitosa, in una bella casa di campagna accudito e amato come si deve».

Lo chiama ogni tanto?

«Su Facetime tutti i giorni. Lui mi guarda e lecca lo schermo. A forza di slinguazzare ha già distrutto a mio padre 8 telefoni».

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro