Giovedì 25 Aprile 2024

Così ridevamo: il secolo di Ciccio Ingrassia

Il grande attore nasceva cent’anni fa. Maschera di un’Italia povera ma allegra, metà della mitica coppia con Franco Franchi, fu lo zio di “Amarcord“

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di Giovanni Bogani

"Voglio una donnaaaaaaaaaaaaaaa!!!!!". Quel grido è come se lo sentissimo ancora oggi. Nel film Amarcord di Federico Fellini, 1973, è Ciccio Ingrassia, in cima a un albero, che grida tutta la sua disperazione. Che mostra quella pazzia che era rimasta, sotterranea, nei più di cento film girati insieme a Franco Franchi. Oggi, di Ciccio Ingrassia ricordiamo quel grido. Ma anche tutti i film che ci hanno fatto ridere come bambini. Film visti nei cinema parrocchiali, o in televisione. Perle di una comicità autenticamente popolare, semplice, diretta.

Il 5 ottobre di cento anni fa, nello storico quartiere di Palermo chiamato Il Capo, nasceva Francesco Ingrassia: quarto di cinque fratelli, tre dei quali non sarebbero sopravvissuti a lungo. Nasce nel 1922: è poverissimo, nemmeno a dirlo. "La fame è stata nella mia gioventù un’amica prediletta", ricordava Ciccio. Pochi anni dopo, Francesco Benenato – Franco – nasce nello stesso quartiere, e lo supera in povertà. In famiglia sono diciotto figli: nessuno riesce a tenere il conto fra quelli vivi e quelli morti per denutrizione.

A scuola, Ciccio s’ingegna facendo commissioni per il maestro. Quando viene interrogato, Ciccio risponde con perfetto aplomb: "Maestro, non m’interroghi sul programma, perché so soltanto i prezzi di lenticchie, fagioli, pasta e Sidol". Poi i mille lavoretti, già da ragazzino: falegname, salumiere, barbiere, calzolaio. Ma il sogno è già il palcoscenico. Il padre gli urla, quando dorme dopo essere tornato a casa all’alba: "Chistu ancùora curcato è, ‘mmeci rimettersi a circari ‘n travagghiu…". Questo dorme, invece di cercare un lavoro! Ma lui ribatte: "Papà, vossia ha sapiri, da chista finestra entreranno assai piccioli chi vvossia mancu si u immagina!". Farò tanti soldi che non ve lo immaginate, padre mio. Finisce a Torino, a fare la spalla di Gino Bramieri. Ma una sera arrivano i carabinieri: hanno rapinato una latteria, e dicono che il rapinatore parlasse siciliano. Non era lui, ma finisce tre giorni in cella.

Tutte queste informazioni, e molte altre, zampillano in un libro che è uno scrigno prezioso di rivelazioni e dettagli sulla vita e sull’arte di una delle coppie comiche più amate del cinema italiano. Il volume, quasi 500 pagine, si chiama Franco e Ciccio. Storia di due antieroi. Lo hanno scritto due autori appassionati e maniacali, Alberto Pallotta e Andrea Pergolari. Lo pubblica Sagoma editore, da anni attento al mondo della comicità cinematografica. All’interno del libro, anche i contributi di Giampiero Ingrassia e Massimo Benenato, figli rispettivamente di Ciccio e Franco.

Pagina dopo pagina, scopriamo due comici popolari, nel senso migliore e più autentico del termine. Titoli iconici, anzi, "icomici": da Goldginger a Le spie venute dal semifreddo, da Il bello, il brutto, il cretino a Indovina chi viene a merenda?, non c’è genere di cui non abbiano fatto la parodia. A modo loro, Franco e Ciccio hanno attraversato Impero romano e Crociate, Rivoluzione francese e Far West, Giappone dei samurai e Africa equatoriale: tutte rigorosamente ricostruite con quattro soldi di cartapesta. Ma che importa: noi abbiamo riso lo stesso. E loro hanno reso visibili per noi tutti i giochi che immaginavamo.

Poi sono arrivati gli anni del cinema d’autore, ma anche del lungo crepuscolo. C’è l’incontro col genio gentile di Pier Paolo Pasolini, che rideva fino alle lacrime per i loro film, e che li sceglie per La terra vista dalla Luna e Che cosa sono le nuvole?. C’è l’exploit fantastico del Pinocchio di Comencini, in cui loro sono il Gatto e la Volpe. C’è il dio del cinema, Federico Fellini, che chiama Ciccio per il personaggio indimenticabile di Amarcord. C’è l’ultima grande apparizione insieme, in Kaos dei fratelli Taviani, nel 1984.

Rimane, nei nostri occhi, quella maschera. La compostezza di Ciccio, chiusa in una sorta di mestizia inconsolabile. Rimane la loro storia, di ultimi comici nati "sulla strada", nelle cui facce si riversavano secoli di storia del Sud italiano. "Ceeeeeeccio!" gli diceva Franco Franchi. E anche a noi viene voglia di dirlo, adesso. Dove sei, "Ceeeeeccio?". La sua maschera da don Chisciotte disperato e dolente, la sua faccia-maschera di un’Italia così lontana ma sempre presente, l’Italia povera fino alla fame ma capace di ridere e sorridere e arrivare alle stelle, non la dimenticheremo.

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