
Netanyahu al Muro del pianto; la preghiera di Trump nello Studio Ovale all’inizio del suo mandato; l'ayatollah Khamenei
Roma, 24 giugno 2025 – Bombe e preghiere. Nell’alto dei cieli non volano solo missili, ma anche invocazioni (o maledizioni, dipende dai punti di vista). Ultimo arrivato, Benjamin Netanyahu, primo ministro di un Paese non confessionale, orante sul Muro del pianto a favore dell’amico Trump che ha deciso di fare la guerra: "Possa Dio benedire, custodire, proteggere e aiutare, esaltare ed elevare in alto il presidente degli Stati Uniti perché si è assunto il compito di scacciare il male e le tenebre nel mondo".
Mai come nelle guerre attuali, così numerose che iniziamo a perdere il conto, si è pregato tanto. Che poi le guerre sante siano anche sante guerre, o almeno sagge, è tutto da verificare. Fatto sta che prega Bibi, che pregano i suoi nemici musulmani a Gaza e altrove, e che probabilmente prega anche la guida suprema Khamenei nel misterioso bunker dove si è autorecluso da giorni chiuso senza aver più contatti con il resto del mondo, perché potrebbero servire agli israeliani per localizzarlo. Lui, in fin dei conti, dovrebbe essere il primo a implorare l’Altissimo, in quanto capo di una teocrazia che governa e reprime e ammazza in nome di Dio.
Per ora, invece, non prega Trump, o almeno non lo fa per ragioni belliche. La foto che teneva banco sui social in questi giorni, Donald con le mani giunte sui banchi di una chiesa e circonfuso di una luce mistica, è un fake. La mano destra di Mr. President mostra infatti sei dita, il che lascia come uniche due spiegazioni o un lavoro fatto male dall’intelligenza artificiale, o un miracolo. Però si sa cha la democrazia americana è impregnata di religiosità, con giuramenti dei suoi presidenti sulla Bibbia e "In God we trust" tuttora scritto sui suoi prodotti di maggior successo internazionale: i dollari. Si deve ancora vedere un presidente ateo o almeno agnostico: e anche Trump ha fatto precedere una delle prime riunioni del gabinetto da una preghiera collettiva nello Studio Ovale.
Intanto il patriarca Kirill, secondo le peggiori tradizioni della Chiesa ortodossa russa sempre schierata con il potere, qualsiasi malefatta commetta, continua a ripetere che l’invasione dell’Ucraina è "una guerra santa".
A proposito di Iran. La memoria, che non è obbligatoriamente corta come quella di molti politici, va a una foto in bianco e nero del primo febbraio 1979. Siamo all’aeroporto internazionale di Teheran dove un Khomeini settantasettenne e ingannevolmente fragile viene aiutato a scendere dal jet Air France su cui tornava in Iran dall’esilio parigino, subito dopo la caduta dello Scià. Allora quei preti barbuti che parlavano un linguaggio incomprensibile sembravano provenire da un altro mondo, e invece hanno cambiato il nostro, reintroducendo la variabile religiosa nella politica internazionale. Macché la fede come fatto privato, macché laicizzazione globale: la religione è tornata a essere un elemento politico. L’Aldilà pesa sull’aldiqua, e del resto che l’Iran sia sciita e i suoi vicini dall’altra parte del Golfo sunniti ha la sua importanza, come se in Europa fossimo ancora alla guerra dei Trent’anni, cattolici contro protestanti.
Già, l’Europa. Più laicista che laica, e in ogni caso scristianizzata, sembra anche per questo un vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro. E dire che, a dispetto del pacifismo più irenista e illusorio, una dottrina della guerra giusta ci sarebbe, fin dai tempi di Sant’Agostino quando lodava i romani che, dopo averlo conquistato, difendevano il loro impero "iusta gerendo bella, non impia, non iniqua". Da qui a scrivere "Gott mit uns" su certi cinturoni (preferite la variante autarchica? "Dio stramaledica gli inglesi") il passo è breve e anche assai pericoloso. Fatto sta che, cullati nel comodo benessere degli ignavi, ci siamo illusi che le guerre fossero finite, e che le religioni le condannassero, per dire così, a prescindere. E adesso che ai confini del nostro orticello di "wishful thinking", mai come adesso traducibile come pia illusione, gli altri se le danno di (santa?) ragione, non sappiamo davvero a che santo votarci.