
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ieri in visita in Val di Fiemme
Roma, 19 luglio 2025 – Arriva dal Colle più alto della Repubblica l’assist alla Santa Sede rimasta perplessa per la versione israeliana di un errore militare dietro al bombardamento della chiesa di Gaza. Parlando a Rovereto, in occasione del centenario della Campana dei caduti, il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha sottolineato come oggi “si spara e si uccide sui luoghi di preghiera, su luoghi dove si distribuisce acqua a chi ha sete e pane a chi ha fame”. Tutto questo, secondo il presidente della Repubblica “crea un contrasto radicale con le attese dell’umanità, ma anche rischia di introdurre una spirale di risentimenti, di odio, di contrapposizioni che genera costantemente altre violenze”.
Un discorso quello del Capo dello Stato che, se teso a stigmatizzare le ombre di chi intende “reintrodurre guerre di annessione territoriale che pensavamo appartenessero ai momenti oscuri dei secoli passati” – come nei desiderata del Cremlino o dei ministri sionisti religiosi dell’esecutivo Netanyahu –, pesca dall’attualità, in particolare dal cannoneggiamento israeliano di giovedì scorso sulla chiesa della Sacra famiglia. Soddisfazione filtra dalla Santa Sede. L’altra mattina il premier israeliano, anche alla luce dell’arrabbiatura del presidente Usa, Donald Trump, aveva telefonato a Papa Leone XIV per scusarsi. Allo statunitense Prevost Benjamin Netanyahu ha rilanciato la versione del tragico errore. Da parte sua il Pontefice ha chiesto un’accelerazione dei negoziati fra Tel Aviv e Hamas per addivenire a una tregua.
Tutto sistemato dunque nei complessi rapporti fra Oltretevere e Israele? Non proprio. La non completa soddisfazione vaticana per il tenore della telefonata deve aver i indotto qualche ora più tardi il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, ospite di TG2 Post, in un’intervista rilanciata ieri dagli stessi media vaticani, a tornare in maniera decisa sul bombardamento della chiesa. Dopo aver definito “opportuna” la chiamata di Netanyahu il porporato, riferendosi a Tel Aviv, ha aggiunto che “diamo tempo, quello che è necessario, perché ci dicano che cosa sia effettivamente successo, se è stato veramente un errore, cosa di cui si può legittimamente dubitare, o se ci sia stata una volontà di colpire una chiesa cristiana, sapendo quanto i cristiani sono un elemento di moderazione nel Medio Oriente”.
Se alcuni insider vaticani nell’intervento hanno voluto leggere un controcanto a Leone XIV di un Parolin dato in uscita – insistenti sono le voci di un suo avvicendamento con l’arcivescovo Gabriele Caccia, attuale osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu –, lo storico della Chiesa, Giovanni Maria Vian, vi scorge piuttosto una duplice urgenza d’Oltretevere. “Parolin ha giocato di sponda con il Papa e con il patriarca di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa – è la lettura dell’ex direttore dell’Osservatore Romano –. Entrambi sono ben consci di come la tesi dell’errore non trovi particolare riscontro fra la popolazione palestinese, anche cristiana, che vive nella Striscia”. A ciò si aggiunge il fatto che la Santa Sede “sta cercando di andare oltre il drammatico bombardamento della Sacra famiglia per spingere le parti, Hamas e Israele, ad impegnarsi nei negoziati. La pace disarmata e disarmante di Prevost passa anche dall’emarginare l’estremismo di chi vuole la scomparsa d’Israele e di chi nel governo di Tel Aviv insiste per la piena annessione della Cisgiordania”.
Ma non c’è il rischio che così si rinfocolino le tensioni fra Israele e Santa Sede come lo scorso anno allorquando proprio Parolin definì “sproporzionata” la reazione israeliana nella Striscia? “Quella è acqua passata – risponde Vian –. Prevost è più attento a non essere etichettato rispetto al suo predecessore”.