Mercoledì 24 Aprile 2024

Perché Boris Johnson ha dato le dimissioni: retroscena e veleni

Dallo tsunami di ministri ai riferimenti al 'branco': le ultime ore di BoJo da primo ministro britannico

Boris Johnson (Ansa)

Boris Johnson (Ansa)

Londra, 7 luglio 2022  - Boris Johnson si è dimesso. Ci sono voluti giorni a convincerlo, ma 59 dimissioni ministeriali nel giro di 48 ore e l’impossibilità di appuntare nuovi colleghi al suo gabinetto di governo, l’hanno finalmente convinto a lasciare la poltrona che fin da piccolo sognava di occupare. Il 58enne Johnson è uscito oggi alle 12.30 locali dall’iconica porta nera del numero 10 di Downing Street e, davanti ad un piccolo podio, ha spiegato come è stato 'doloroso' per lui prendere la decisione di lasciare. Ha parlato della sua tristezza al dover abbandonare "il miglior posto di lavoro al mondo" e ha elencato i suoi "successi" come primo ministro – tra cui la campagna vaccinale per il Covid, la Brexit, il supporto all’Ucraina - prima di riconoscere che era arrivata l’ora di andarsene.

"E' ora chiara la volontà dei deputati del Partito conservatore che ci sia un nuovo leader di partito e quindi un nuovo primo ministro. Il processo di scelta del nuovo leader dovrebbe iniziare ora". In un discorso emotivo ma dignitoso, il contestato Boris ha poi spiegato che resterà a servizio del Paese "fino a quando non ci sarà un nuovo leader", cosa che ha dato subito fastidio ai suoi colleghi, che lo vorrebbero veder andare via immediatamente. Con la terza moglie Carrie, che portava la bimba Romy in braccio, e i fedelissimi che lo hanno applaudito, Johnson non ha fatto il minimo cenno a tutto quello che è successo per portarlo al tracollo. Nessuna parola di scusa per quello che ha finalmente fatto scattare l’esodo del "branco", come lo ha definito lui, di ministri e parlamentari, che gli hanno di fatto tolto la fiducia.

Chi si aspettava una richiesta di perdono per aver mentito in Parlamento, per aver più volte fatto scelte dubbie o sbagliate e per aver messo in ginocchio la credibilità non solo della carica di premier del Paese, ma dell’intero partito conservatore, è rimasto a bocca asciutta. Johnson ha preferito glissare su tutto ciò, ricordando i "milioni" che hanno votato per lui nelle ultime elezioni generali del 2019, conferendogli un "mandato" per cambiare il paese. Nessun riferimento quindi al Partygate, o alla sua decisione di promuovere un noto predatore sessuale ad una posizione di potere (Chris Pincher), piuttosto che ai suoi costanti voltafaccia e imbrogli che hanno causato persino i suoi fedelissimi ad abbandonarlo. Il fatto stesso che Boris abbia annunciato di voler restare fino all’elezione del suo successore ha mandato in crisi il partito, che preferirebbe vedere un premier "custode" (si parla di Dominic Raab, ma anche di Theresa May) prendere le redini del potere nei mesi che ci vorranno per eleggere il nuovo leader.

Lo tsunami di ministri uscenti aveva annunciato l’inizio della fine. Poi c’è stata la delegazione di ministri del suo gabinetto, che sono andati a convincerlo: metodo che aveva funzionato con la Thatcher ma che però non sembrava far breccia su Johnson, che si incaponiva sempre di più. Poi è intervenuto Sir Graham Brady, a capo del 1922 Committee che gestisce i backbenchers, che gli ha fatto capire che erano pronti a cambiare le regole pur di disfarsi di lui (con un secondo voto di sfiducia). Lì Johnson ha traballato. Poi c’è stato l’annuncio dei laburisti, pronti ad intavolare un voto di sfiducia pure loro. Nel frattempo, Johnson era rimasto isolato, nessuno era disposto ad accettare le posizioni ministeriali da lui offerte, lasciando di fatto il paese ingovernabile. Finalmente ha dovuto decidersi, intuendo che un’uscita dignitosa gli avrebbe magari salvato la faccia. I riferimenti al "branco" sono state frecciate velenose rivolte ai colleghi Tory, ma ormai la decisione di farlo saltare in un modo o nell’altro era stata presa. La fine era arrivata.

Ora, tra i papabili, il campo è ampio: Ben Wallace (ministro della difesa) è il favorito, considerato un paio di mani sicure nel caos della premiership di Johnson. Poi c’è Liz Truss (Ministra delgi Esteri), Nadim Zhahawi (neo-cancelliere per meno di 36 ore), Rishi Sunak (ex-cancelliere e spina nel fianco di Boris, la cui immagine è stata rovinata dalla moglie miliardaria che non pagava le tasse) Sajid Javid (ex-sanità ed ex-cancelliere) e Jeremy Hunt (ex-rivale). E tra gli outsider spicca la giovane e intraprendente Penny Mordaunt, ex-ministro della difesa, silurata da Johnson perché (dicono i maligni) troppo abile, e Tom Tugendhat, quotato capo della commissione affari esteri e noto critico del premier. Nel frattempo Boris ha nominato un gabinetto ad interim per poter continuare a mandare avanti il paese, con nomi noti come Greg Clarke (ex-ministro degli affari, ora al posto di Gove), James Cleverly (ex-sottoministro per l’Europa, ora all’istruzione) e Robert Buckland (ex-ministro della giustizia, ora segretario di stato per il Galles). Ma la situazione potrebbe ancora non essere risolta. Come ha ricordato Boris stesso ieri: "Nessuno è indispensabile in politica".