Lunedì 29 Aprile 2024

Sognava un destino da Churchill. Ma BoJo ha mentito pure a se stesso

Irriverente e politicamente scorretto, con le sue bugie ha superato un limite invalicabile in Gran Bretagna

La foto del party gate pubblicata dal Guardian. Il Regno Unito era in pieno lockdown

La foto del party gate pubblicata dal Guardian. Il Regno Unito era in pieno lockdown

Come i dieci piccoli indiani di Agatha Christie, uno dopo l’altro sottosegretari e ministri del governo Johnson si sono dimessi, lasciando il geniale ma cazzaro Boris al suo destino. Avrebbe voluto essere una sorta di novello Winston Churchill – al quale il premier britannico decadente se non già decaduto ha anche dedicato una biografia, dal titolo "The Churchill Factor" – ma alla fine si è rivelato un primo, e forse unico, Johnson e basta.

Il fattore Boris ha prevalso su tutto il resto, anche sui tentativi di imitazione: "Sapevo che era un maestro nell’arte del parlare, e mio padre (come molti dei nostri padri) avrebbe recitato alcuni delle sue frasi più famose; e sapevo, già allora, che quest’arte stava scomparendo. Sapevo che era divertente, e irriverente, e che persino per gli standard della sua epoca era politicamente scorretto", ha scritto il premier conservatore a proposito del suo idolo. Anche BoJo, ex sindaco di Londra, è sì irriverente, persino divertente, altrettanto scorretto per gli standard di oggi; c’è però un limite che non può essere superato nella politica britannica. Si può essere faziosi ma non mentire in Parlamento, e il demagogo Boris Johnson ha perso la fiducia dei membri del suo partito a causa dell’ormai famigerato partygate, tra birra e champagne nei mesi duri del lockdown (i giornali non gliel’hanno fatta passare liscia, compresi quelli conservatori; perdiana, lui fa i festini, mentre voi siete chiusi in casa). Forse solo una scusa, come osserva Lorenzo Castellani, "per coprire i dissidi politici ed economici tra i blue wall e i conservatori, tra i pro-Brexit e i pro-Remain".

Comunque, a poco son servite le scuse e le multe; a poco è servita la valanga di voti di due anni e mezzo fa, arrivata pur di scongiurare lo sbarco di Jeremy Corbyn. L’ingegnere del caos, per dirla con Giuliano Da Empoli, che al populismo trumpiano, johnsoniano e salviniano ha dedicato un prezioso libro tradotto in tutto il mondo, non è sopravvissuto a se stesso.

È insomma arrivata l’ora più buia anche per l’ex giornalista del Times, da cui fu cacciato per essersi inventato dei virgolettati, e Telegraph, di cui è stato corrispondente a Bruxelles (anche lì le invenzioni antieuropee non mancavano). Tre volte sposato, con sette (così pare) figli in conto, BoJo ha cavalcato la tigre della Brexit a colpi di falsificazioni, grazie anche allo spin doctor Dominic Cummings. Come quando lui e gli altri Brexiteer dicevano che il Regno Unito avrebbe continuato a mandare 350 milioni di sterline ogni settimana a Bruxelles se non ci fosse stato l’addio all’Unione Europea.

"La verità ha ancora qualche importanza?", si chiedeva nel 2016 la direttrice del Guardian Katharine Viner. Con qualche anno di ritardo, la risposta è arrivata.