Venerdì 26 Aprile 2024

In Italia 3,6 milioni di smartworker Fanno risparmiare 600 euro a testa

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IL LAVORO da remoto, nel 2022, continua a essere utilizzato in modo consistente, sebbene in misura minore rispetto allo scorso anno. I lavoratori da remoto oggi sono circa 3,6 milioni, quasi 500mila in meno rispetto al 2021, con un calo in particolare nella pa e nelle pmi, mentre si rileva una leggera ma costante crescita nelle grandi imprese che, con 1,84 milioni di lavoratori, contano circa metà degli smart worker complessivi. Per il prossimo anno si prevede un lieve aumento fino a 3,63 milioni, grazie al consolidamento dei modelli di smart working nelle grandi imprese e a un’ipotesi di incremento nel settore pubblico. Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio smart working della school of management del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno ‘Smart working: il lavoro del futuro al bivio’.

Secondo l’indagIne, lo smart working è ormai presente nel 91% delle grandi imprese italiane (era l’81% nel 2021), mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese e progetti che quasi sempre agiscono su tutte le leve che caratterizzano questo modello. Una tendenza opposta si riscontra nelle pmi, in cui lo smart working è passato dal 53% al 48% delle realtà, in media per circa 4,5 giorni al mese. Per il rapporto, a frenare in queste realtà è la cultura organizzativa che privilegia il controllo della presenza e percepisce lo smart working come una soluzione di emergenza. Rallenta anche la diffusione nella pa, che passa dal 67% al 57% degli enti, con in media 8 giorni di lavoro da remoto al mese. In questo caso a pesare sono soprattutto le disposizioni del precedente Governo che hanno spinto a riportare in presenza la prestazione di lavoro, ma per il futuro si prevede un nuovo aumento.

L’impatto dello smart working, spiega la ricerca, è sempre più positivo per effetto dell’aumento dei costi energetici: un lavoratore che operi due giorni a settimana da remoto risparmia in media circa 1.000 euro all’anno per effetto della diminuzione dei costi di trasporto. Nella stessa ipotesi di due giorni alla settimana di lavoro da remoto l’aumento dei costi dei consumi domestici di luce e gas può incidere però per 400 euro l’anno riducendo il risparmio complessivo a una media di 600 euro l’anno. Lo smart working, sottolinea ancora l’indagine, consente una riduzione dei costi potenzialmente più significativa per le aziende.

"La diffusione delle iniziative di smart working negli ultimi due anni ha portato numerose organizzazioni e persone a confrontarsi con un modo di lavorare radicalmente diverso rispetto a quello adottato prima della pandemia – ha detto Mariano Corso (nella foto in basso), responsabile scientifico dell’osservatorio smart working – e spesso, tuttavia, l’applicazione delle nuove modalità di lavoro si è concretizzata con l’introduzione del solo lavoro da remoto, che ha consentito di gestire le emergenze e supportare il work-life balance delle persone, ma che non rappresenta un ripensamento del modello di organizzazione del lavoro. È il momento di riflettere su cosa sia il ‘vero smart working’, che deve essere l’occasione per attuare un cambiamento più profondo, incentrato sul lavoro per obiettivi e una digitalizzazione intelligente delle attività". Fiorella Crespi, direttrice dell’osservatorio smart working, ha aggiunto: "Nel complesso lo smart working comporta una generale riduzione dei costi sia per i lavoratori sia per le aziende che lo adottano".

Le organizzazioni potrebbero valutare di restituire ai lavoratori una parte del risparmio ottenuto, ma nella rilevazione oggi solo il 13% delle aziende del campione prevede per i lavoratori che lavorano da remoto dei bonus o rimborsi che non siano buoni pasto. L’applicazione dello smart working permette anche di ottenere benefici a livello ambientale riducendo le emissioni di di circa 450 chilogrammi annui per persona. Le emissioni risparmiate nelle sedi delle organizzazioni che hanno introdotto lo smart working (circa 400 chilogrammi di CO2) al netto delle emissioni addizionali dovute al lavoro dalla propria abitazione (in media circa 300 chilogrammi di CO2). Considerando il numero degli smart worker attuali, pari a 3.570.000 lavoratori, l’impatto a livello di sistema Paese calcolate sarebbe di 1,5 milioni di tonnellate annue di CO2. Tale quantità è pari a quella assorbita da una superficie boschiva grande circa 8 volte quella del comune di Milano.

Il 52% delle grandi imprese, il 30% delle pmi e il 25% della Pubblica amministrazione ha già effettuato degli interventi di modifica degli ambienti o lo sta facendo in questi mesi. In prospettiva futura queste iniziative sono previste o in fase di valutazione nel 26% delle grandi imprese, nel 21% delle pa e nel 14% delle pmi. Il ripensamento degli spazi che sappia tener conto del diverso modo di lavorare delle persone rispetto al pre-pandemia è fondamentale per favorire il rientro in ufficio che, nel 68% delle grandi imprese e nel 45% delle Pubbliche amministrazioni, ha incontrato resistenze da parte delle persone.

Vittorio Bellagamba

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