Venerdì 26 Aprile 2024

Maria Antonietta Mignogna, una vita in prima linea

In forza al reparto mobile di Senigallia è la prima celerina d'Italia, operativa dal 2008. "Nessuna paura, solo quel pizzico di timore che ti fa restare sempre vigile" Polizia, per la prima volta le donne nei reparti mobili

Maria Antonietta Mignogna (Omaggio)

Maria Antonietta Mignogna (Omaggio)

Roma, 18 aprile 2018 - Lei è stata la prima. Maria Antonietta Mignogna, 47 anni, molisana in forza al reparto mobile di Senigallia, avrà presto un plotone di eredi. Celerine in piena regola che da oggi entreranno in sei dei 15 reparti della polizia italiana specializzati in ordine pubblico. "Non è uno spot – ha sottolineato il capo della polizia Franco Gabrielli –. È un ammodernamento dell’amministrazione". "E non sa quanto mi facciano piacere queste parole", commenta Maria Antonietta, nome, voce e aspetto decisamente femminili. "Perché io sono la dimostrazione che con la volontà e con la tigna si può arrivare dappertutto. Prima celerina d’Italia. Operativa dal 2008. Come avevo chiesto offrendomi volontaria, a dispetto di ogni scetticismo sulla mia prestanza fisica".

In effetti lei non risponde al prototipo dell’agente massiccio e con lo sguardo truce. Misure? "Sono alta 1,65 per 53 chili".

I colleghi avranno sorriso quando è entrata in reparto. "Chissà, forse temevano di dover proteggere me più che garantire l’ordine pubblico. L’inizio è stato davvero duro, non lo nego, anche se Senigallia era un reparto nuovo e quindi con minori ‘incrostazioni’. Lavorando con passione e con costanza ho saputo conquistarmi la fiducia di tutti. Ogni diffidenza è caduta. L’unico a preoccuparsi è il mio fidanzato, operaio, quando sa che devo partire per un servizio impegnativo". 

L’attività della Celere richiede sincronia di movimenti, lavoro di squadra ma anche fisicità. Nessuna paura? "No, quella mai. Attenzione tanta, invece. E quel pizzico di timore che ti fa restare sempre vigile. Merito di un addestramento teorico molto serio e di una preparazione fisica molto solida. Ogni settimana ci alleniamo duramente, poi proviamo e riproviamo moti di piazza, cariche, respingimenti. Devi credere a quello che fai. E io ci ho sempre creduto".

Ruolo in strada? "Scudo quadro: sono uno dei tre agenti che sta in prima linea, a protezione. Poi ci sono due scudi tondi, due generici con sfollagente, un ‘gellista’ con il lacrimogeno sempre pronto. Poi l’autista e il caposquadra. Centosettanta giorni l’anno di servizio, che per noi di stanza a Senigallia è sempre fuori sede, in tutto il centro Italia, Roma compresa. È una vita di sacrificio ma con senso di comunità".

Più complicati i servizi negli stadi o nelle manifestazioni pubbliche a forte contenuto politico? "Eventi come il G8 dell’Aquila o l’Expò mobilitano le maggiori tensioni. Ma anche un derby Ascoli-Teramo può essere molto pesante. E presidiare le aree del terremoto, come mi è successo a Macerata, richiede una sensibilità ancora diversa. In ogni caso, bisogna sempre saper gestire lo stress".

Il complimento più bello? "Quando un mio collega, alla scuola d’ordine pubblico di Nettuno, si alzò e disse ai dirigenti dell’epoca – ancora piuttosto scettici – che contestare la presenza delle donne nei reparti celeri era un pregiudizio".

In che modo una più forte e pubblicizzata presenza femminile nei reparti celeri può favorire la gestione di piazza? "Esercitando una naturale inconscia carica dissuasiva sulla psicologia dei manifestanti o degli ultras più violenti. Di questo sono convinta. Tanto poi con il casco calato tutti gli agenti tornano uguali. E io sono un agente come tutti gli altri".

A 47 anni sono ritmi sostenibili? "Il momento di uscire dal reparto si avvicina. Ma ho aperto una strada e ne sono orgogliosa".

Messaggio alle eredi in arrivo? "Siate sempre convinte e ce la farete".