
L’omelia del decano dei cardinali "Francesco è stato voce di pace" .
Papa Francesco poteva esser descritto in molti modi, tanti sono i mondi che Bergoglio ha attraversato e i messaggi che ha mandato. Il decano del Collegio cardinalizio, Giovanni Battista Re, un lombardo di 93 anni, ormai fuori dal Conclave e dai giochi di potere molto in voga in questi giorni nei Sacri palazzi, ha scelto di puntare su due aspetti che il Papa argentino aveva nel tempo sottolineato, in particolare nell’ultimo periodo: il suo costante richiamo alla pace e i continui appelli alla Chiesa e al mondo per un fattivo impegno per i poveri e gli emarginati, in primis gli immigrati.
Passaggi che hanno trovato l’apprezzamento dei fedeli presenti in piazza San Pietro o in via della Conciliazione (tre o quattro applausi, molti meno delle decine che contraddistinsero il rito analogo per Giovanni Paolo II, scandito per di più da continui cori e dalla famosa richiesta di “Santo subito“) e che hanno assunto un rilievo particolare visto il contesto, con tutti i leader mondiali ad assistere all’omelia. È parso quasi che il cardinale Re abbia inteso raccogliere idealmente il testimone di Francesco che da due o tre anni a questa parte, da quando la Russia ha invaso l’Ucraina e Israele Gaza, non aveva mancato occasione per esortare alla pace. Le sue ultime parole, nelle sofferte uscite dopo le dimissioni dal Gemelli, erano state proprio su questo tema, e sono state il suo lascito ideale.
Intendiamoci, il tema della pace per un Papa non è nuovo, e in questo Bergoglio non ha fatto altro che seguire il solco tracciato dai propri precedessori. Dal famoso grido di Benedetto XV contro la guerra ("Un’inutile strage"), a Paolo VI che all’Onu chiese "Jamais plus la guerre", all’accorato e disperato richiamo di un Giovanni Paolo II che appena riusciva a parlare e con poco fiato che aveva in corpo fu capace di urlare "Io la guerra l’ho vissuta, l’ho conosciuta e vi dico mai più la guerra". Ma l’insistenza con la quale Francesco è costantemente tornato sull’argomento, la pressanza dei suoi appelli, lo hanno messo ancora più in primo piano, fino al punto che ormai molto lo definiscono ’il papa della pace’.
"Di fronte all’infuriare delle tante guerre di questi anni – ha detto il cardinale Re – papa Francesco ha incessantemente elevato la sua voce implorando la pace e invitando alla ragionevolezza, all’onesta trattativa per trovare le soluzioni possibili, perché la guerra, diceva lui, è solo morte. La guerra lascia sempre il mondo peggiore di come era precedentemente: essa è per tutti sempre una dolorosa e tragica sconfitta". L’omelia è stata pronunciata in italiano e nessuno dei leader mondiali usufruiva della traduzione simultanea quindi non è dato sapere quanto l’abbiano compresa, certamente quando poi gli staff li avranno informati sul contenuto delle parole diffuse in tutto il mondo qualcuno di loro non ci sarà rimasto bene. Mancavano sul sagrato i massimi rappresentanti di Russia e Israele ma nell’affollato parterre qualcuno con la coscienza non pulita del tutto c’era.
Trump non sarà poi rimasto contento neppure delle parole del cardinale Re sul tema migranti, terreno di scontro feroce tra lui e il Papa defunto. Re ha ricordato la visita di Bergoglio al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, dove c’è il muro anti-migranti che il tycoon ha fatto costruire (e Biden non ha demolito), rammentando come Francesco "ha sempre costruito ponti e non muri". Parole imbarazzanti per il presidente Usa, ma il cardinale, con il Papa defunto steso lì per terra, non poteva far finta di niente.
Il cardinale ha preso la parola dopo la lettura in latino del testo del Vangelo in cui Gesù affida a Pietro la Chiesa ("Pasci le mie pecore") e in sostanza viene dato fondamento al ministero petrino, e nel mezzo di un rito che ancora una volta ha rivelato la sua immutabile maestosità. Pieno di simbologie (la liturgia è di per sé racconto per gesti) che affondano nella tradizione cristiana, capace di coniugare il vecchio (i canoni in greco antico, per dare spazio alle Chiese orientali) e il nuovo (le preghiere in cinese, o le scritte in arabo). Il tutto nella dimensione che Paolo VI, il grande riformatore, volle dare alle eseguie dei Pontefici, da quel momento all’insegna della sobrietà (via il catafalco, la bara per terra, la sepoltura senza monumento funebre). Sono i funerali di un pastore e non di un sovrano, ha ripetuto anche ieri il Vaticano.