Mercoledì 24 Aprile 2024

Chi va al lavoro meriterebbe trasporti migliori

Piero

Fachin

Due dati, per capire la portata di una tragedia senza senso, di quelle che fanno arrabbiare proprio perché evitabilissime: ogni due giorni, in Italia, una persona, uno di noi insomma, muore non sul lavoro, ma andando al lavoro o tornando a casa alla fine del turno.

L’analisi dell’Inail sul primo semestre lo certifica: 121 decessi da gennaio a giugno, in aumento rispetto ai 91 del primo semestre del 2021. Per non parlare dei 41.504 feriti registrati nello stesso periodo. Non per insistere, ma 41.504 uomini e donne, messi tutti insieme, fanno il doppio degli abitanti di un capoluogo di provincia come Sondrio. Ogni sei mesi, insomma, una città si ferma e si mette in malattia per colpa di un colossale incidente stradale. Con costi tali, in termini di sofferenza umana e di spese vive, da lasciare senza fiato chiunque abbia la voglia e il tempo di pensarci.

Una strage che richiede risposte, o quantomeno un tentativo di risposta. Una proposta, per iniziare: non è il caso di ripensare anche (anche) il sistema di trasporto pubblico locale? Possiamo far finta che gli italiani siano tutti pigri o perfino stupidi, ma la realtà è che un operaio (ce ne sono ancora, anche se non sono più di moda) o un impiegato che vanno al lavoro in auto non lo fanno per scelta, ma perché non hanno alternative. Non hanno alternative, per essere precisi, che risultino convenienti in termini di tempo e di prezzo. Perché la frequenza dei treni, fuori dalle aree metropolitane maggiori, è scarsa anche negli orari di punta, perché i bus sono ancora merce rara, perché i nodi di interscambio non funzionano e perché il biglietto unico è una realtà consolidata soltanto in pochissime aree del Paese.

Ora il Pnrr mette a disposizione 8 miliardi e mezzo per assicurare un minimo di efficienza in più al (non) sistema del trasporto pubblico locale. Otto miliardi e mezzo non bastano, ma certo non sono pochi. Usiamoli. E usiamoli bene.