Lunedì 6 Maggio 2024

Chi va al lavoro meriterebbe trasporti migliori

Piero

Fachin

Due dati, per capire la portata di una tragedia senza senso, di quelle che fanno arrabbiare proprio perché evitabilissime: ogni due giorni, in Italia, una persona, uno di noi insomma, muore non sul lavoro, ma andando al lavoro o tornando a casa alla fine del turno.

L’analisi dell’Inail sul primo semestre lo certifica: 121 decessi da gennaio a giugno, in aumento rispetto ai 91 del primo semestre del 2021. Per non parlare dei 41.504 feriti registrati nello stesso periodo. Non per insistere, ma 41.504 uomini e donne, messi tutti insieme, fanno il doppio degli abitanti di un capoluogo di provincia come Sondrio. Ogni sei mesi, insomma, una città si ferma e si mette in malattia per colpa di un colossale incidente stradale. Con costi tali, in termini di sofferenza umana e di spese vive, da lasciare senza fiato chiunque abbia la voglia e il tempo di pensarci.

Una strage che richiede risposte, o quantomeno un tentativo di risposta. Una proposta, per iniziare: non è il caso di ripensare anche (anche) il sistema di trasporto pubblico locale? Possiamo far finta che gli italiani siano tutti pigri o perfino stupidi, ma la realtà è che un operaio (ce ne sono ancora, anche se non sono più di moda) o un impiegato che vanno al lavoro in auto non lo fanno per scelta, ma perché non hanno alternative. Non hanno alternative, per essere precisi, che risultino convenienti in termini di tempo e di prezzo. Perché la frequenza dei treni, fuori dalle aree metropolitane maggiori, è scarsa anche negli orari di punta, perché i bus sono ancora merce rara, perché i nodi di interscambio non funzionano e perché il biglietto unico è una realtà consolidata soltanto in pochissime aree del Paese.

Ora il Pnrr mette a disposizione 8 miliardi e mezzo per assicurare un minimo di efficienza in più al (non) sistema del trasporto pubblico locale. Otto miliardi e mezzo non bastano, ma certo non sono pochi. Usiamoli. E usiamoli bene.