Giovedì 25 Aprile 2024

Pressioni cinesi sulla giornalista: "Smetti di parlare male di noi"

Il capo ufficio stampa dell'ambasciata cinese Yang Han ha bloccato la cronista: "So chi sei". Giulia Pompili, esperta di Asia del 'Foglio': "Spiazzata dalla naturalezza con cui il funzionario mi ha intimidita al Quirinale"

Giulia Pompili, giornalista del Foglio

Giulia Pompili, giornalista del Foglio

Roma, 23 marzo 2018 - Immaginatevi la scena: Quirinale, Sala degli Specchi, confusione, giornalisti. Il presidente cinese Xi Jinping sta per ringraziare Mattarella e «gli amici dei media». Sembra filare tutto liscio. Seguiranno cronache di memorandum, menu a base di tortelli alla carbonara, abiti e shopping. Ma venerdì, prima di tutto questo, succede qualcosa che lascia di stucco una delle giornaliste presenti al Colle. Si tratta di Giulia Pompili, 34 anni, cronista del Foglio, esperta di Asia. Il capo ufficio stampa dell’ambasciata cinese, Yang Han, la blocca. E dice (per due volte): «La devi smettere di parlare male della Cina». 

Insomma, un’intimidazione? «Il fatto che sia successo nei corridoi del Quirinale è il simbolo di tutta questa faccenda. Mi ha colpito la tranquillità con cui un funzionario dell’ambasciata cinese, in quei corridoi, mi abbia fatto presente che non gli andavano bene alcuni articoli. Mi è sembrato un po’ lo stesso metodo che la Cina usa nel contrattare con gli altri Paesi, soprattutto se più deboli».

Un ‘metodo’ usato anche con l’Italia? «L’Italia fa il suo ingresso nella Via della Seta da topolino e la Cina considera normale che non si debba criticare un eventuale accordo. Forse sarebbe il caso di capire con chi stiamo trattando...».

Il funzionario l’aveva mai visto o sentito? «Mai».

Lui però le ha detto ‘So benissimo chi sei’. Inquietante, no?  «Certo, spiazza la naturalezza con cui mi ha parlato. Eravamo al Quirinale! Ma è anche ipocrita pensare che non sia così. Ci confrontiamo con un Paese dove praticamente non esiste la dissidenza, dove esistono i campi di rieducazione, dove parlare di diritti umani è ancora un tabù».

Qual è stata la sua prima reazione quando le hanno intimato di smetterla di parlar male della Cina? «Ho riso. Anche perché questo clima contro i giornalisti automaticamente genera una reazione d’incredulità. Poi ho capito che diceva sul serio». 

Ci sarà stata gente lì con lei. Qualcuno ha preso le sue difese? «C’era una gran confusione, diversi testimoni hanno assistito alla scena, ma nessuno ha detto nulla. Il funzionario del Quirinale che ci ha chiesto di continuare a camminare credo non se ne sia nemmeno reso conto».

Alla luce di questo episodio, per il quale esponenti dell’opposizione le hanno dato attestati di solidarietà, è d’accordo con chi dice che rischiamo di diventare una colonia del Dragone? «Non esageriamo. Ma per contrastare l’atteggiamento predatorio dei cinesi ed evitare di cadere nella ‘trappola del debito’ sarebbe meglio utilizzare il metodo europeo. Non è un caso che al Quirinale, accanto alle bandiere italiane e cinese, sventolasse quella della Ue».