Giovedì 25 Aprile 2024

Conte, la rivincita del bon ton nell’era della volgarità sui social

Elegante ed educato, il premier supera in popolarità i rivali urlanti

Giuseppe Conte in Quirinale (Lapresse)

Giuseppe Conte in Quirinale (Lapresse)

Roma, 30 agosto 2019 - Fosse ancora qui, Monsignor Della Casa celebrerebbe il trionfo dell’ultimo allievo. Lui, l’autore del Galateo delle buone maniere, non stenterebbe a riconoscersi nei modi di Giuseppe Conte, premier uscente e rientrante, anfibio della politica capace prima di governare con il trinariciuto Salvini e poi con il fratello del commissario Montalbano.

Il bellissimo 2019 di Conte - di Michele Brambilla

Eh, sì. O si tratta di un caso, di una irripetibile congiunzione astrale, di una inspiegabile coincidenza degli opposti. Oppure siamo in presenza di una potentissima, stupefacente inversione di tendenza. Non sto parlando del colore politico della alleanza. Qui, in verità, c’è sotto qualcosa di antropologicamente più profondo. Qualcosa che i cultori del retroscena, gli ansiogeni narratori dei giochi di Palazzo, faticano paurosamente a decifrare.

In breve. Ormai eravamo rassegnati al trionfo, tronfio, della sguaiataggine. Più la comunicazione era gridata e più il consenso pareva assicurato. La coppia più sgangherata del mondo, Di Maio & Salvini, ha offerto per oltre un anno un repertorio di tutto ciò che è estremo. Il primo si affacciava ai balconi ad annunciare l’abolizione della povertà.

Il secondo indossava improbabili felpe, evocava ruspe, divorava Nutella. E giù, a turno, a spararla una più grossa dell’altra, chi se ne frega dell’Europa, chiuderemo l’Ilva, fermeremo la Tav, stamperemo mini Bot. Tutto per un like in più sui social, s’intende. Solo che. Solo che, apparentemente in mezzo, in realtà una spanna sopra («L’elevato», copyright Beppe Grillo) stava l’erede di Monsignor Della Casa.

Pensatela come volete su Conte primo ministro, ma non si può negare che faccia sempre la sua porca figura. La pochette d’ordinanza. Il capello tirato a lucido. Una eleganza classica molto italiana: tanto che Donald Trump, tra un hamburger e una coca, gli ha chiesto dove si facesse preparare le giacche. Alla fine, l’inquilino della Casa Bianca, temendo di ritrovarsi a Palazzo Chigi un tizio al massimo in grado di suggerirgli come capo d’abbigliamento una felpa, ha scritto su Twitter di tifare per il Conte-bis. "Ette’ credo", avrebbe chiosato Alberto Sordi. Il tutto proprio mentre Salvini, di nuovo fuori sintonia, accusava Macron e la Merkel di avere ispirato la svolta giallorossa. Manca solo che pure Putin inneggi all’avvocato del popolo e al Papeete chiudono baracca senza aspettare l’autunno.

Eh, sì. Conte ha rimesso il bon ton al centro del villaggio della politica. È andato al Senato a massacrare il vice leghista in diretta tv ma ogni tanto gli accarezzava la spalla, quasi a dire: "ti sto menando, ma indosso i guanti bianchi" (che poi erano guantoni da pugile, ma questo è un altro discorso). E per più di un anno, quando i renziani lo contestavano con asprezza, dileggiandolo alla stregua di un re travicello, lui non faceva una piega. Mai un risolino, mai una smorfia, mai un cenno di disgusto. Incassava con garbo, lasciando che le plebi parlamentari si scannassero. Elevato a prescindere, bene educato a scanso di equivoci.

Durerà? Meglio: sarà vera gloria? Per ora i sondaggi dicono che soltanto Mattarella è più popolare di Giuseppe Conte, l’uomo che gronda compostezza da tutti gli artigli. Se riesce a non perdere la pazienza nemmeno con l’altro Matteo, va a finire che nel 2022 ce lo ritroviamo al Quirinale, l’ex anonimo più famoso d’Italia.