Mercoledì 24 Aprile 2024

Conte e Pd, pazienza finita: Renzi dentro o fuori

Il premier evoca lo scenario della scorsa estate: "Porterò la crisi in parlamento e farò le mie scelte". Porte chiuse anche dai democratici

Il premier Giuseppe Conte (Ansa)

Il premier Giuseppe Conte (Ansa)

Roma, 20 febbraio 2020 - La pazienza di Giuseppe Conte, è finita. E, già che ci siamo, anche quella del Pd. Una parte dell’M5S, quella vicina a di Maio oltre a Di Maio stesso curiosamente tace mentre il capo politico dei Cinquestelle, Vito Crimi, usa parole di fuoco: "Basta pagliacciate, Renzi dica se è in maggioranza o con il centrodestra". Le reazioni ‘ufficiose’ e non ‘ufficiali’ di palazzo Chigi come del Nazareno, davanti all’attesissimo Renzi di ieri sera a ’Porta a Porta’ sono queste: "Basta, hai stancato, vuoi la prova di forza? Siamo pronti. Ci vediamo in Parlamento". Il premier per adesso ha spiegato di non voler commentare ufficialmente ma ha deciso che, "a breve" (il che, però, vuol dire non subito, ma nel giro di una, o al massimo due, settimane), si recherà alle Camere e poi farà "le sue scelte". In entrambi i rami del Parlamento ma ovviamente il test del Senato sarà quello decisivo, il luogo deputato per Costituzione a rinnovargli la fiducia presa a settembre del 2019. "Lì – dicono gli uomini del premier come quelli del ministro capodelegazione dem, Dario Franceschini – Renzi e Italia Viva dovranno decidere se vogliono ancora fare parte della maggioranza oppure no. Ne prenderemo atto".

Ma Conte, come già fece contro Salvini nell’agosto del 2019, non si limiterà a chiedere alle Camere di rinnovargli la fiducia: spiegherà al Parlamento e agli italiani la sua Agenda 2023, ma chiederà anche un voto di fiducia (probabilmente sotto forma di risoluzione di maggioranza) su di lui, sull’operato del suo governo e su quello dei suoi ministri. Bonafede, capodelegazione dell’M5S al governo, compreso, in cima alla lista. "Sfiduciare uno di loro vuol dire sfiduciare me" dirà Conte.

Tertium non datur: Renzi e Iv non possono continuare a votare col centrodestra (come hanno fatto ieri in commissione Giustizia alla Camera sul ddl Costa e hanno intenzione di fare quando quel ddl arriverà in Aula) e non possono presentare una mozione di sfiducia al ‘suo’ Guardasigilli, per altro capodelegazione dell’M5S. Atti che segnerebbero, per Conte, la fine del rapporto di fiducia con Iv e la rottura dell’attuale maggioranza di governo. Se poi, nelle Camere, si paleserà l’ormai famoso gruppo di ‘Responsabili’ che, specie al Senato, diventerebbe fondamentale per mantenere in piedi la maggioranza di governo, se Iv passasse all’opposizione, o se, invece, i responsabili non basteranno, solo allora si capirà se il governo cadrà e i relativi scenari. Un primo test si avrà comunque oggi alle 12, quando al Senato si voterà la fiducia sul ddl intercettazioni.

Un Conte ter? Un governo elettorale? Un governissimo? Troppo presto, per dirlo ora. Una cosa sola è certa: la pazienza di Conte è finita. E quella del Pd pure. Anche perché Renzi ieri ha mandato gambe all’aria anche il tavolo, così faticosamente imbastito dalla maggioranza, sulla riforma della legge elettorale, per fare il Germanicum.

Dal Nazareno arrivano commenti a dir poco sprezzanti ("Matteo, come sistema elettorale, vuole il ‘Paurellum’"), vere e proprie minacce ("Non possiamo tollerare le sue provocazioni per molto"), o, come motteggia Franceschini, caustiche ironie ("Matteo è come lo scorpione della favola di Esopo: punge perché quella è la sua natura".