Venerdì 26 Aprile 2024

Perché il 25 aprile divide ancora: dalla caduta di Mussolini alla Repubblica di Salò, gli snodi della storia restano ferite aperte

Solo dagli anni Novanta si riflette sulla scelta (sbagliata) dei repubblichini. La costruzione di una memoria comune è stata sempre problematica

Una delle ultime immagini di Benito Mussolini a Salò

Una delle ultime immagini di Benito Mussolini a Salò

Non è una questione di contrapposizione lessicale o tematica. Il fatto che sul 25 aprile, come del resto su altre ricorrenze nazionali che ricordano la vittoria nella grande guerra piuttosto che gli anni di piombo, siano state votate al Senato due mozioni distinte di maggioranza e opposizione la dice lunga sulla divisione su temi per i quali la memoria dovrebbe essere condivisa. Al contrario, a distanza di quasi ottant’anni e anche assai meno per gli anni di piombo, la riconciliazione nazionale è ancora difficile. L’origine di questa divisione risale a come il fascismo è caduto. Perché il 25 luglio, caduta di Mussolini, non fu il prodotto della rivolta di un popolo. Fu l’effetto di una congiura di palazzo. Il duce fu arrestato su ordine del re a seguito della “sfiducia” espressa dal Gran Consiglio. Così furono il re e il suo governo, presieduto dal maresciallo Badoglio, a rappresentare la continuità dello Stato italiano. E tale continuità giunse, sotto il profilo istituzionale, fino alla vittoria referendaria della Repubblica, il 2 giugno ’46. Ma, per quando riguarda le strutture centrali e periferiche dello Stato, la continuità superò il 2 giugno. Anche gli italiani che si erano macchiati di gravi crimini, in complicità con gli occupanti tedeschi, furono amnistiati in uno sforzo di pacificazione nazionale che non rendeva giustizia.

Una delle ultime immagini di Benito Mussolini a Salò
Una delle ultime immagini di Benito Mussolini a Salò

Contro la continuità di quello Stato si schierarono i fascisti che aderirono alla Repubblica di Mussolini, dopo la sua liberazione da Campo Imperatore, nel settembre ‘43. Questo processo innescò sul territorio nazionale un nuovo e contrapposto processo identitario. A lungo fu negata nella storia nazionale la legittimità di questa scelta. Solo alla fine del passato secolo si riconobbe che i fascisti repubblichini furono protagonisti di una guerra civile, termine fino ad allora negato. Il che ovviamente non significa riconoscere la giustezza delle loro scelte. Significa solo accettare la legittimità di quella parte. Fu un passo avanti, ma difficile da compiere e sostanzialmente rifiutato. I torti di coloro che si schierarono con la Repubblica sociale continuavano a sormontare il possibile riconoscimento della legittimità della loro scelta.

Poi, per complicare il quadro e introdurre un terzo, fondamentale elemento di divisione, giunse la rivolta organizzata nei Comitati di liberazione nazionale dell’antifascismo. Dal settembre ’43 al marzo ’44 la Resistenza non fu solo lotta contro i tedeschi e la Repubblica di Mussolini, ma anche contro la continuità dello Stato rappresentato dal re e da Badoglio. Quindi si contrapposero tre legittimità politiche che si escludevano reciprocamente. Il superamento della contrapposizione fra Badoglio e la Resistenza avviene solo con la svolta di Salerno, guidata da Togliatti, nel marzo 1944, che permise una apparente riconciliazione. Fu una riconciliazione che non incise nel profondo della coscienza nazionale: era di opportunità e di vertice.

Il 25 aprile 1945, data dell’insurrezione nazionale, liberatoria di nazisti e fascisti ebbe un ben preciso titolare: il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Non il re, né Bonomi, capo del governo che era succeduto a Badoglio. Bensì la massima espressione politica della lotta di Liberazione, il Clnai. Era l’insurrezione contro i fascisti, ma anche, implicitamente, contro il re e contro quello Stato che l’amnistia Togliatti del giugno 1946 garantiva, anche nelle persone di coloro che si erano macchiati di crimini fascisti. Ne scaturì un groviglio di nodi irrisolti che ci portiamo dietro da allora.