Mercoledì 24 Aprile 2024

Viaggio al centro della Terra di Nessuno

Luoghi del mito, territori contesi dalle guerre, spazi dell’anima. Da Shangri-La a Moresnet, il piccolissimo stato senza identità per un secolo

Una cartolina del 1901 con il Moresnet Neutrale

Una cartolina del 1901 con il Moresnet Neutrale

Da sempre l’immaginario dell’umanità è popolato di terre favolose: dalle Isole Fortunate degli antichi greci al medievale Paese di Cuccagna regno dell’abbondanza, dal reame di Gog e Magog al Shangri-La, il paradiso perduto tra le nevi himalayane, fino al Paese dei Balocchi di Pinocchio. Senza dimenticare la mitica Ultima Thule, l’isola "al di là del mondo conosciuto" dove non tramonta mai il sole.

Ma solo con la Prima guerra mondiale – la stessa catastrofe di civiltà che ispirò al poeta Thomas S. Eliot il celebre poemetto La terra desolata, pubblicato nel 1922 – a questo catalogo di luoghi incogniti s’aggiunge una nuova tipologia, la cosiddetta “terra di nessuno”. Il termine, almeno inizialmente, non ha niente di mitologico: designa semplicemente una porzione di territorio non occupata oppure rivendicata da più parti.

A raccontare le vicende di uno di questi posti "oltre lo specchio" è stato di recente lo storico e giornalista Philip Dröge nel libro Terra di nessuno. L’incredibile storia di Moresnet, un luogo che non sarebbe dovuto esistere. Un microstato di confine, durato dal 1816 al 1919, abitato da etnie diverse che hanno vissuto in pace e trovato nella lingua, l’esperanto, la pacificazione.

Vicino ad Aquisgrana, poco più di 3,4 chilometri quadrati, questa minuscola porzione di territorio con un’importante miniera di zinco, per oltre un secolo, dal Congresso di Vienna del 1815 agli Accordi di Parigi del 1920, fu rivendicata sia dalla Prussia sia dai Paesi Bassi, senza mai riuscire a trovare un’intesa. Moresnet divenne così un territorio neutrale da amministrare in comune tra Paesi Bassi (poi dal 1831 dal Belgio) e Prussia (dal 1871 Germania).

"Ogni confine era arbitrario, a seguito di una spartizione ci sarebbe stato sempre qualcuno nel Paese “sbagliato”", osserva Dröge. "Moresnet non era tedesco, olandese o belga, si componeva di tedescofoni, belgi, neutrali, olandesi, e anche francesi, svizzeri e americani, non vi era dunque una vera identità nazionale". Bisognerà attendere fino al 10 gennaio 1920, giorno di entrata in vigore del Trattato di Versailles, perché i cittadini di Moresnet diventino ufficialmente belgi. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo era anche stata avanzata la proposta di fare del Moresnet Neutrale il primo stato con l’esperanto come lingua ufficiale, con il nome di Amikejo (luogo d’amicizia).

Più “terra di nessuno” di così? Ma altro che amicizia. Seguendo la Storia, è molto facile caricare questi luoghi-non luoghi di valenze metaforiche con la nostra immaginazione che corre immediatamente alla sequela di film di guerra in cui tale spazio conteso e temuto diventa il luogo simbolo della condizione umana. Pensiamo a Platoon di Oliver Stone, Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, fino alla pellicola intitolata esplicitamente No Man’s Land del bosniaco Danis Tanovic, da cui Sandro Veronesi ha tratto il suo testo teatrale Terra di nessuno, titolo anche d’un romanzo horror di Eraldo Baldini non a caso ambientato durante la Prima guerra mondiale.

Ma, sempre in ambito cinematografico, non erano forse una gigantesca no man’s land anche i territori di frontiera del Far West, con le loro piste polverose segnate dalle ruote dei carri che trasportavano i coloni? Monti aguzzi e fiumi impetuosi, aridi deserti e verdi vallate suggerivano una terra di nessuno dai confini dubbi, continuamente ridisegnati nella perenne lotta di tutti contro tutti: allevatori, banditi, sceriffi e pellerossa, con le “giacche blu”della cavalleria al posto del classico deus ex machina pronte a suonare la carica nello scontato lieto fine. Piano piano, l’idea della no man’s land si andava spostando: non più soltanto un luogo di potenziale, aspro conflitto nel quale occorreva muoversi con cautela; non più un un deserto categoriale, una terra incognita su cui far campeggiare idealmente la scritta hic sunt leones, ma un ennesimo spazio aperto all’avventurosa fame di conquista da parte dell’uomo.

Non è allora un caso che l’espressione “terra di nessuno” sia via via esondata dall’ambito bellico e oggi venga usata tanto da scienziati e sondaggisti a proposito d’un campo di ricerca inesplorato e di quella parte di opinione pubblica non orientata che può essere facilmente sottoposta all’influsso della propaganda. Ma il salto decisivo della “terra di nessuno” nel regno del mito e della favola si è compiuto grazie al web. E all’arte della truffa, naturalmente, che nella credulità di stampo telematico ha trovato una sterminata no man’s land in cui operare.

 

 

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