Mercoledì 24 Aprile 2024

Vagabonda e a muso duro, l’altra via Emilia

Trenta e vent’anni fa morivano Daolio e Bertoli: due cantanti che hanno messo in musica la verità della loro terra. E la potenza di tutti gli umili

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di Leo

Turrini

Non se lo ricorda nessuno, ma io c’ero e quindi parola di cronista, all’epoca non ancora tale: sul finire degli anni Settanta, un certo Vasco Rossi apriva, come si dice in gergo, i concerti di Pierangelo Bertoli.

Non se lo ricorda nessuno, ma io c’ero e bla bla bla: nello stesso periodo Augusto Daolio, con i suoi Nomadi, tirava mattina cantando sul palco di una balera di Cervarolo, zona Appennino reggiano. E non rifiutava un bis nemmeno al più sbronzo degli spettatori, perché essere Nomadi significava e significa guardare verso il basso, riconoscersi nei sentimenti degli umili e dei fragili e in fondo anche il sassolese Bertoli era così. Nonscrivi un pezzo come A muso duro se non stai dalla parte sbagliata della Storia, la parte di quelli che hanno meno, la parte di quelli che nel Paradiso che verrà ci credono poco, semmai preferirebbero togliere l’Inferno dal presente quotidiano.

Augusto Daolio, reggiano di Novellara, è morto trent’anni fa, nel 1992. Pierangelo Bertoli, modenese area ceramiche, si è spento venti anni fa, nel 2002. Nemmeno oso immaginare cosa penserebbero della musica che gira intorno oggi, del rap e del trap e robe del genere: ma siccome erano intelligenti e in anticipo sui tempi in cui fu dato loro vivere, forse addirittura apprezzerebbero gli artisti del 2022.

Di sicuro, per Augusto e per Pierangelo la voce era tutto. Hai voglia di menartela con la evoluzione della “forma canzone”, però alla fine sempre lì torniamo. Alla parola che si fa suono, alla potenza vocale che riempie di carne e di sangue un verso, una frase, una rima.

Daolio, come Bertoli, era un eroe terragno. Veniva dalla campagna, dal sudore e dal rumore dei campi. Nelle loro espressioni migliori, passando per le intuizioni sublimi di Guccini, questo sono stati i Nomadi: gli epigoni in musica della civiltà contadina. C’era, nelle corde di Augusto, l’istanza della contaminazione: conosciamo i Beatles e i Rolling Stones, abbiamo ascoltato Elvis Presley ma non per questo ci sentiamo autorizzati a dimenticare le radici. Io vagabondo non era una hit su 45 giri, semmai una confessione: soldi in tasca non ne ho, ma lassù mi è rimasto Dio.

Dio, appunto. In apparenza quanto di più lontano dall’ateo mangiapreti Bertoli, che non faceva sconti al Potere nemmeno se indossava l’abito talare. Ma proprio perché anche Pierangelo veniva dalla terra, alcuni dei suoi amici migliori erano sacerdoti o frati. "Prega Crest", scritta in dialetto sassolese, è una intima ammissione che forse un Altrove può essere trovato, al netto di compromessi e finzioni.

Bertoli finto non è stato mai. Pochi gli hanno riconosciuto la enorme testimonianza di coraggio resa mostrando la sua disabilità senza nasconderla, in una Italia bigotta e ipocrita che ancora celava gli "handicappati", come oscenamente si usava dire una volta. Quando lo chiamarono ospite per la prima volta a Domenica in, il salotto buono della Rai, lo inquadrarono solo dal busto in su, per non far vedere la carrozzina. Da quella volta, in tv, Festival di Sanremo compreso, Bertoli ci saliva portato a spalla dagli amici del suo gruppo. Perché non aveva nulla di cui vergognarsi e se oggi questo sgangherato paese celebra gli eroi della Paralimpiade, insomma, lo deve anche al cantautore di Sassuolo.

Augusto è sepolto in un cimitero della provincia Reggiana. I fan hanno continuato a coltivarne la memoria, con un affetto sincero. Pierangelo riposa nella sua Sassuolo. Vagabondo e a muso duro: grazie di essere passati da qui, fratelli.

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