Mercoledì 24 Aprile 2024

Tommasi, il Leone italiano che incantò Evita

Buenos Aires ricorda lo scultore chiamato da Perón a realizzare il più grande monumento del mondo. Bloccato dal colpo di Stato

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di Davide Rondoni

È di un artista italiano il monunento più importante d’Argentina. O meglio il sogno di Eva Perón, che commissionò a Leone Tommasi la realizzazione del monumento più grande del mondo. Il monumento al Descamisado doveva misurare ben 137 metri, occorrevano quarantatremila tonnellate di marmo, e quindicimila metri cubi di cemento armato. Ora una mostra a Buenos Aires lo celebra. Segno del legame tra i due paesi, resistenti nella storia, nei cognomi, nelle affinità. Segno di quella “Italia diffusa“ lungo le vie dell’arte, del gusto, dello spirito, che è la nostra vera unica madrepatria. Non mi pare che fossero molti gli italiani a tifare al Mondiale la europeissima Francia, i più stavamo con i veri cugini, quelli d’oltreoceano.

La storia dell’opera del meraviglioso scultore Tommasi, erede dei Michelangelo, Donatello, Cellini, si incrocia con una donna-mito, Evita Perón. Il monumento fu commissionato da lei al maestro del marmo di Pietrasanta, dove la sua famiglia creò la prima fucina di fusione, e il cui spazio atelier è animato, come a Firenze, dalla nipote Francesca Sacchi Tommasi. Doveva essere più imponente persino della Statua della Libertà e di quella da lui creata per Simon Bolivar in Colombia.

Il sogno di Eva non si fermò davanti ai lamenti di scultori arfentini. Lei fu irremovibile, doveva essere quel maestro italiano a eseguire il suo sogno, perché lui aveva nel sangue e nell’estro la potenza e la delicatezza per esprimere l’animo di chi "si sente popolo". Tornano alla mente alcune coeve riflessioni di Arturo Martini, che lamentava il destino della scultura come lingua morta, proprio perché eseguita e commissionata da chi non si sente più popolo.

Leone Tommasi nasce a Pietrasanta nel 1903, in una famiglia di marmisti; dopo il diploma all’Istituto d’Arte, nel 1922 si trasferisce prima a Roma dove guadagna la stima e l’appoggio di Angelo Zanelli, autore delle sculture del Vittoriano, poi a Milano, dove nel 1926 vince il Premio Brera, che lo avvicina a Adolfo Wildt, mentre altri artisti a lui vicini furono Gemito, Bistolfi, Trubetskoy, Dazzi, l’amico caro Mario Parri, e Berti. Tornato a Pietrasanta, nel 1927 sposa Carolina Ferroni con cui ha quattro figli. Nel 1950 la chiamata in Argentina, dapprima per la realizzazione delle dieci statue colossali per il Palazzo dell’Aiuto Sociale, a Buenos Aires, commissionate da Eva e Juan Perón, poi per il progetto del megalitico “Monumento al Descamisado”. Oggi sue opere sono sparse in tutto il mondo, e recentemente sono state esposte al Mart di Rovereto nella mostra su Canova.

Già altre esposizioni, al castello mediceo di Serravezza, insieme alle opere dei figli, Marcello e Riccardo Tommasi Ferroni, e al Chiostro di Sant’Agostino di Pietrasanta, hanno negli anni tenuta viva l’attenzione sull’artista italiano che nelle sue lettere parla di una Evita elegante "più nella figura che nel vestire". Seguì a quella commissione una storia di passione, di epistolari, di contratti, ma anche di sangue e censure politiche. La mancata realizzazione e la persecuzione politica alla sua opera addolorarono Tommasi, che morì nel ’65. Addirittura emissari antiperonisti furono mandati fino in Italia a decapitare le effigi di Evita, dopo la fine tragica di quel governo.

Ora un documentario e la mostra, con catalogo a cura di Rodrigo Claramonte sono non solo un atto d’amore ma anche un atto riparatorio, in nome della libertà dell’arte. Si tiene durante il Salon Nacional de Artes Visuales di Buenos Aires al Centro cultural J.L.Borges, e ricorda, presentando riproduzioni di frammenti dell’opera, il valore e il significato di quel sogno. A questo artista libero e riservato l’ Argentina “mondiale“ riserva il suo onore, ricordandoci chi siamo.

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