Mercoledì 24 Aprile 2024

Riccardo Muti: basta col direttore-show. "La musica è conoscenza. Sul podio non si finge"

Da oggi si apre a Ravenna l’ottava edizione dell’Italian Opera Academy: "I giovani maestri devono sapere di essere soli, tra orchestra e pubblico"

Riccardo Muti

Riccardo Muti

"Quando sei sul podio non puoi fingere. Mai. Potresti prendere in giro una persona, mostrandoti per quello che non sei, ma non riuscirai mai a ingannare 80 o 100 componenti di un’orchestra. È uno dei primi insegnamenti che do ai miei allievi", confida Riccardo Muti che stasera al teatro Alighieri di Ravenna aprirà l’ottava edizione della sua Italian Opera Academy.

Più di trecento giovani direttori da tutto il mondo si sono candidati per studiare con lui: ma soltanto cinque, selezionati (severamente) dal Maestro, avranno il privilegio di vivere dieci giorni di “full immersion“ per apprendere l’arte splendida di guidare un’orchestra nella preparazione ed esecuzione di una partitura. Come è avvenuto anche negli anni precedenti (e si è visto anche su Rai5), il pubblico potrà seguire dal vivo tutto il lavoro “dietro le quinte“ condotto da Riccardo Muti.

Quest’anno il banco di prova è la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, "in cui è centrale il rapporto fra musica e testo sacro – dice il Maestro che con questo capolavoro ha conquistato anche due Grammy –. Non si può trattare come un’opera, perché è un’orazione, una preghiera. E invece talvolta si canta il Kyrie Eleison come se fosse l’Aida".

Maestro, qual è il primo requisito che lei richiede ai direttori?

"Di essere in grado di suonare il pianoforte e di leggere un’aria cantandola. Lo faceva il mio maestro Antonino Votto, così come Toscanini e Karajan. Prima ancora di passare all’orchestra, il direttore deve sedere alla tastiera e impartire ai cantanti le prime indicazioni. Oggi qualcuno magari smette di cantare o di suonare uno strumento e si mette a dirigere: c’è chi si improvvisa".

E quando poi si entra nel vivo?

"Bisogna fare un lavoro accurato sulla concertazione. Molte orchestre oggi si lamentano che alcuni direttori, al di là del “più forte“ o “più lento“, non diano indicazioni profonde di fraseggio o di colore del suono. È solo così che il direttore può coinvolgere l’orchestra nella sua idea interpretativa che poi dovrà essere trasmessa al pubblico. Quando spiego questo metodo a giovani che pure provengono da accademie blasonate, mi accorgo che per loro è un mondo sconosciuto".

Perché?

"Purtroppo il dirigere un’orchestra si è trasformato solo nel 'muovere le braccia' o fare lo show per il pubblico, quando invece a volte bastano gesti anche molto discreti se c’è la sintonia con i musicisti. Il podio non è un trono, ma un’isola di solitudine: lassù non sei un dittatore o un imperatore, ma sei da solo fra l’orchestra davanti e il pubblico alle spalle. A differenza di un violinista o di un cantante che possono esercitarsi in una stanza, un direttore impara anche commettendo errori di fronte all’orchestra".

Quando un direttore diventa davvero Maestro?

"Eh, oggi maestro è termine abusato: un po’ come a Napoli tutti ti chiamano 'dottore' – ride –. Magister deriva da “magis“, ovvero “più“: il Maestro è colui che deve dare ad altri la sua conoscenza. I Wiener Philharmoniker, che dirigo dal 1971, considerano Maestro un direttore dopo i 50 anni perché ritengono che abbia esperienza e preparazione. Poi, certo, interviene anche il carisma: ma, come ho detto, non si può fingere di fronte a un’intera orchestra".

È importante aprire le prove al pubblico?

"Sì, molti mi hanno detto di aver seguito le lezioni in tv e di aver scoperto aspetti e peculiarità di opere anche famose. Credo che da questo tipo di lavoro dovrebbe prendere le mosse anche l’insegnamento della musica nelle scuole: più che far suonacchiare uno strumento, occorre far entrare i bambini e i ragazzi nel mondo dei suoni, affascinandoli".

La musica nelle scuole è bistrattata?

"Più che altro dimenticata. Si insegna la storia dell’arte e si ignora la musica che nell’arte ha un ruolo fondamentale. Uno studente è tenuto a sapere chi sia Michelangelo, ma non Palestrina o Monteverdi. E pensare che, senza la storia della musica, l’Italia avrebbe minore attenzione e rispetto da parte del resto del mondo".

Si farà forse una scuola di poesia...

"Ogni apertura verso l’arte è importante ma occorre essere seri. Spero che il nuovo governo, al di là delle appartenenze politiche, faccia scelte ponderate con consiglieri di esperienza e peso internazionale, e non persone soltanto capaci di approfittare di una situazione nuova per promuovere se stesse. I dilettanti devono restare fuori".

Come vede l’Italia di oggi?

"Ci sono tragedie umane e ambientali come quella di Ischia, dove non si corre ai ripari prima e la gente muore, e ci sono anche tragedie di carattere culturale. Pochi giorni fa sono tornato a Napoli e ho rivisto il conservatorio di San Pietro a Majella dove ho studiato: uno dei monumenti più straordinari dell’Italia, che ha avuto fra i suoi direttori Paisiello e Mercadante, è fatiscente, cadente, imbrattatissimo. È stato un grande dolore. Speriamo si possa risalire la china: a volte occorre toccare il fondo per ripartire".

E cosa direbbe Verdi dell’Italia di oggi?

"Sarebbe incavolatissimo per il fatto che la sua villa Sant’Agata, nel Piacentino, stesse andando all’asta. In quella casa Verdi ha scritto gran parte delle opere che danno credibilità e vanto al nostro Paese, e quindi quella villa deve essere proprietà dello Stato e diventare un museo aperto al mondo".

 

 

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