Venerdì 26 Aprile 2024

Pompei, l’eruzione fu in ottobre E le ceneri arrivarono fino in Grecia

Nuovi studi ricostruiscono la furia del Vesuvio. E smentiscono la data (agosto) riferita da Plinio a Tacito

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di Aristide Malnati

Una catastrofe ineguagliabile, che a quasi duemila anni di distanza può essere rivissuta quasi in diretta. Fisici, vulcanologi, climatologi e ovviamente anche storici hanno portato a compimento lo studio più dettagliato ed esaustivo sulla più famosa eruzione vulcanica della storia, quella del Vesuvio che colpì Pompei e i villaggi vicini, seminando terrore e morte ovunque. Un lavoro eccellente ad opera di un équipe internazionale e pluridisciplinale, a forte presenza italiana (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Istituto di Geologia ambientale e Geo-ingegneria del CNR e il Centro interdisciplinare per lo studio degli effetti del cambiamento climatico dell’Università di Pisa), ha raggiunto conclusioni sicure che hanno meglio precisato il decorso dell’accadimento.

Eventi drammatici che si arricchiscono di particolari tragici: in primo luogo la furia del vulcano si verificò su un arco temporale di otto fasi. "Una serie di eruzioni successive di intensità decrescente. La prima è stata la più terribile, simile all’esplosione di un certo numero di ordigni atomici tutti insieme; un’esplosione capace di sollevare una colonna di ceneri di otto km di altezza, che raggiunse addirittura la Grecia, creando un brusco innalzamento della temperatura anche in zone distanti dal Vesuvio", precisa Mauro Antonio Di Vito.

Emergono nuovi elementi, climatici e geologici, che ben lasciano immaginare la devastante furia della lava: una nube piroclastica capace di essere visibile all’orizzonte per centinaia di chilometri, e quindi capace di annientare qualsiasi forma di vita, anche sotto il mare in tutta la baia circostante (anche questo aspetto è stato accertato dai recenti studi). Una tragedia immane che avvenne appunto nel 79 d. C., ma in autunno inoltrato – tra il 24 e il 25 ottobre – e non la notte tra il 24 e il 25 agosto, come si credeva sulla base di una lettera di Plinio il giovane allo storico Tacito, in cui il Governatore della Bitinia ricordava la catastrofe esaltando il sacrificio dello zio Plinio il vecchio, che, forse il primo martire della scienza, perse la vita pur di osservare l’eruzione da vicino.

Già da tempo gli studiosi non riuscivano a spiegare la presenza tra i resti organici ancora analizzabili (la lava ha perfettamente conservato nei secoli gli edifici dei villaggi, ad iniziare da Pompei, e i loro sfortunati abitanti come in un’istantanea) di noccioli di frutti che maturano solo in autunno; o la presenza di tuniche pesanti, certamente inadeguate in piena estate.

Inoltre qualche anno fa, nel corso degli scavi diretti dall’archeologo sovrintendente Massimo Osanna, è emersa un’iscrizione in carboncino su un muro, per cui (qualcuno) "il sedicesimo giorno prima delle calende di novembre (il 16 ottobre) del 79 d. C. si abbandonava ai piaceri del cibo senza ritegno", quasi un ultimo, lauto banchetto verosimilmente pochi giorni prima della distruzione dato che, se fosse passato diversi tempo, la scritta in carboncino non sarebbe così nitida, vista la deperibilità del materiale scrittorio.

"Ora lo studio degli strati geologici del terreno ci conferma il periodo autunnale della catastrofe, che va collocata verosimilmente verso la fine di ottobre", precisa il geologo Biagio Giaccio. Un’eruzione immane e prolungata che ha causato fenomeni collaterali anch’essi letali, quali flussi piroclastici ad alta densità e colate di lapilli e fango. "Un disastro che ora conosciamo in ogni suo aspetto scientifico, grazie all’acquisizione di informazioni che potranno rivelarsi utilissime per prevenire fenomeni eruttivi altrettanto letali", conclude il vulcanologo Domenico Doronzo.

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