Giovedì 25 Aprile 2024

Piero Chiara mai visto: "Il balordo sono io"

La rivista online Tortuga Magazine porta alla luce un’"autorecensione" del ’73. "Non si deve fare il bene, basta non fare il male"

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12.4.1973

I miei libri sono, come quelli di tutti i buoni narratori – quelli che io ritengo buoni narratori –, autobiografici. Anche se non parlano di me, parlano di esperienze alle quali io ho partecipato, di ambienti che io ho profondamente conosciuto e nei quali proietto la mia sensibilità. Direi che guardo con gli occhi dei miei personaggi, soffro, partecipo alla loro vita. E quindi sono tutti – questi miei personaggi – ipotesi di una mia vita. In particolare, Il balordo, è evidente che non può essere autobiografico, perché io peso esattamente un terzo del mio protagonista e non ho avuto nessuna possibilità di fare delle esperienze che il mio protagonista ha fatto. Apparentemente, perché questo gigante buono per me è la personificazione di un modo di vivere nel quale personalmente credo.

Quindi è psicologicamente autobiografica questa figura.

Anselmo Bordigoni, il balordo, è un uomo il quale è convinto che il fare il bene, il cercare il bene, il praticare il bene, è cosa sospetta. Chi fa il bene, lo fa sempre in vista di qualche vantaggio: o per avere della riconoscenza, o per guadagnare un posto in Paradiso, o per essere ammirato, o per dare a se stesso una sorta di soddisfazione che ha un fondo di egoismo. Secondo me – e secondo il mio personaggio – l’uomo non è che debba fare il bene. Basta che non faccia il male: che si astenga dal male. Se gli uomini si astenessero dal male, ci sarebbe nel mondo un regno di pace; fra gli uomini di buona volontà ci sarebbe quell’armonia che in fondo è anche nella morale cristiana, cioè nella morale di Cristo. Il quale non ha mai detto: "Fate questo, fate quest’altro". Ma ha detto: "Non fate questo, non fate quest’altro". "Amate il prossimo come amate voi stessi, ma non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi". In questo concetto (cioè di un’opposizione passiva dell’uomo al male, ma di un’opposizione certa, profonda) è il senso della morale di Cristo. È forse il senso vero, possibile della convivenza umana.

Questo è il contenuto direi – con una parola forse un po’ troppo forte – filosofico di quel libro che da qualche critico è stato ritenuto, proprio con una locuzione francese, “un conte philosophique”, cioè un racconto che ha un fondo, un contenuto, morale e filosofico.

Altri miei libri, forse – apparentemente almeno –, non hanno un contenuto morale, né possono avere l’ombra di un ammonimento qualsiasi. Apparentemente, dico, perché anche in questo esame che io faccio spesso del modo di vivere di una certa società, c’è una sottoposta critica. C’è un esame di una situazione, la valutazione di un certo ambiente, la quale sottintende – sempre – un giudizio che spesso è negativo.

Ma, come tutti quelli che parlano degli uomini e del loro modo di vivere, è in fondo un atteggiamento morale.

 

 

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