Venerdì 26 Aprile 2024

I parchi di regime e la (vera) natura del Duce

Cent’anni fa nasceva il Gran Paradiso, poi vennero l’Abruzzo, il Circeo e lo Stelvio. Ma Mussolini non era un ecologista

La protezione ambientale entrò nella retorica fascista fin dal 1922

La protezione ambientale entrò nella retorica fascista fin dal 1922

Com’era verde, anzi: come sembrava verde quel regime. Cent’anni fa – il fascismo era appena arrivato al potere marciando su Roma – nasceva il primo Parco nazionale italiano, quello del Gran paradiso: era il 3 dicembre 1922. E pochi mesi dopo ecco il secondo, il Parco nazionale d’Abruzzo. Benito Mussolini e i suoi gerarchi non persero occasione di intestarsi la novità del momento, il protezionismo ambientale, e di portare avanti, negli anni a venire, una propria “ecologia politica“, a forza di parchi, appunto, ma anche di bonifiche, progetti di rimboschimento, elogio della vita rurale e della natura. Al punto che si favoleggia ancora oggi di un fascismo verde, di un ecologismo ante litteram inventato dai gerarchi in camicia nera. I conti in apparenza tornano, visto che ai citati parchi – per limitarci a questa misura di protezione ambientale – ne seguirono altri due, quello del Circeo, nato nel 1934, e quello forse più ambizioso, il Parco dello Stelvio, inaugurato l’anno successivo. Non arrivò invece a compimento l’idea di istituirne uno nel mezzogiorno, sulla Sila, poi sottoposta a un intenso sfruttamento.

Cent’anni fa, dicevamo, l’Italia si dotò del suo primo Parco nazionale, seguendo con mezzo secolo di ritardo l’esempio degli Stati Uniti, che crearono il celebre e pionieristico Yellowstone Nationale Park nel1872, quando la Casa bianca era occupata dall’ex generale Ulysses S. Grant, eroe della guerra civile. Tempi remoti, che sbaglieremmo a rileggere con gli occhi di oggi e con le urgenze del nostro tempo, per quanto qualche punto di contatto vi sia. Nel caso del Gran Paradiso, per esempio, l’urgenza di salvare dalla mano dell’uomo, e cioè dalla caccia indiscriminata, gli animali selvatici, in particolare lo stambecco, quasi estinto negli anni a cavallo del secolo e divenuto simbolo del Gran Paradiso. Furono comunque i Savoia a donare i terreni destinati al nascituro Parco, e fu un ministro dello Stato liberale, Angelo Mauri, a preparare tutti gli atti, poi recepiti e firmati dal nuovo capo del governo, un Mussolini nemmeno quarantenne. Il fascismo agì dunque in continuità con lo Stato liberale, ma fu prontissimo a cogliere l’occasione e a fregiarsi della novità: due zone protette (col Parco d’Abruzzo) istitute nell’arco di pochi mesi e una retorica sulla natura e la rigenerazione del paese subito rilanciata di discorso in discorso, di proclama in proclama, secondo una visione in realtà lontanissima dalla wilderness d’oltreocenano (la natura selvaggia) e anzi funzionale alla retorica razzista e nazionalista.

Mussolini spiegò così il “fascismo verde“ in un discorso del 1927, tradendo la vera natura del suo progetto: "Fra dieci anni, o camerati, l’Italia sarà irriconoscibile! Noi l’avremo trasformata, ne avremo fatta un’altra, dalle montagne, che avremo ricoperte della loro necessaria chioma verde, ai campi, che avremo completamente bonificato, alle ferrovie, che avremo aumentate, ai porti, che avremo attrezzati, perché l’Italia deve ritrovare la sua anima marinara". La natura, dunque, come oggetto e non soggetto di un progetto di sviluppo. Si spiegano così – come documentano Marco Armiero, Roberta Biasillo e Wilko Graf von Hardenberge nel libro La natura del duce (Einaudi) – i progetti di rimboschimento funzionali all’industria idroelettrica e spesso con forte impatto ambientale, per l’introduzione di specie vegetali alloctone, e gli stessi piani di bonifica delle paludi, anch’essi ereditati dall’Italia liberale e realizzati nella forma di un colonialismo interno – una bonifica ambientale e demografica, con la cancellazione delle acque e il trasferimento di popolazioni – più che nell’ottica di un governo equilibrato delle acque e dei relativi ecosistemi.

Il Parco del Circeo fu un sottoprodotto delle bonifiche pontine, con un intervento di canalizzazioni, piantumazioni, cementificazioni tutt’altro che protezionistico. E lo stesso Parco dello Stelvio nacque per preminenti scopi turistico-celebrativi, sui luoghi della Grande Guerra, indicati dalla propaganda come l’origine mitica e simbolica del nuovo regime. Il presunto ambientalismo fascista, sostengono gli autori de La natura del duce , "come un frullatore mescola e amalgama natura, stirpe e storia".

Tuttavia, si dirà, gli stambecchi del Gran Paradiso furono in effetti salvati: la popolazione raddoppiò nei primi dieci anni di vita del parco. Vero, ma furono nuovamente decimati dopo il ’33, quando scattò la vera “fascistizzazione“ del Parco, con la gestione centralizzata, e non più affidata a commissioni locali, e con la creazione della Milizia forestale fascista, invisa alle popolazioni locali.

Non c’è stato , insomma, un fascismo verde, semmai una continuità del non-ambientalismo nazionale: dal prefascismo, al post fascismo. Basti pensare, per dirla in chiave letteraria, alla distruzione dei boschi nella Sardegna governata dai Savoia – per supportare l’industria mineraria – raccontata in un romanzo come Paese d’ombre di Giuseppe Dessì (Il Maestrale); o all’Italia del boom economico incontrollato evocata da Italo Calvino ne La speculazione edilizia (Mondadori). Dopotutto, la famosa legge Bottai del 1939 sulla “protezione dei beni naturali“ è stata superata solo alla fine degli anni ’90, quando l’Italia aveva ormai battuto tutti i record europei quanto a consumo di suolo... No, il nostro non è un paese per ecologisti.

 

 

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