Venerdì 26 Aprile 2024

Nella mente di Zavattini: io, Gadda e la guerra

A 120 anni dalla nascita il grande intellettuale rivive nella nuova pubblicazione dei “Diari“. "Scrivo per provare che sono come gli altri"

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di Cesare Zavattini

14 gennaio 1941

Oggi ho deciso di cominciare questo diario. È una prova di più che io sono come gli altri. Non c’è un momento della mia giornata che mi dimostri il contrario: io sono come gli altri. Può darsi che il quotidiano costante rapporto con me stesso mi allontani da questa idea. L’angoscia che mi dà questa idea deve essere anche per questo: che mi accorgo che gli altri hanno le mie stesse idee, si comportano come me. Anzi, certe mie azioni le vedo chiare solo perché gli altri le ripetono e non sono contento di me, cioè le mie sono cattive azioni.

26 novembre 1942

A letto correggo le bozze di Totò il buono: che almeno per metà è scritto genericamente. Dovrei avere la forza di non pubblicarlo. È un buon, ottimo soggetto di cinema, per questo era nato.

19 gennaio 1943

A cena da De Sica. Gli spiego che cosa sono le “idee nuove” che stanno dominando il mondo. Lo spavento. Ritorno a casa a piedi: mi accorgo che se sono un po’ eccitato (tono alto) penso meglio. La pressione bassa mi toglie un po’ l’estro. Forse dovrei usare alcol con prudenza, ma usarlo.

9 agosto 1943

Ho capito che la guerra, come ogni altra cosa, capita perché deve capitare a causa del comportamento degli uomini. La maggioranza stragrande si comporta male (una bugia, una viltà, le mille ipocrisie quotidiane ecc., portano alla guerra – cioè la guerra è stabile in noi). Quindi migliorare educare l’uomo. Quella delle rivoluzioni la giudico la più facile, e la peggiore. Tutte le rivoluzioni sanguinose non sono necessarie ma sono inevitabili per la loro facilità, per la loro irriflessività (tutto istinto e tornaconto contingentissimo). Dunque per me la guerra non è un mistero. Poi la si mitizza, ma nella sua essenza è la somma dei nostri quotidiani errori. Dico la guerra come qualunque cosa che non rispetta la vita e la dignità umana. Sino a oggi ho previsto tutto solo servendomi di un metro morale, al di fuori della “storia”.

1 dicembre 1943

Leggo corrispondenza di Flaubert. Come doveva essere felice e come sarei felice io (avendo dentro spaventose angosce lo stesso) se potessi avere più volontà nell’isolarmi. Ho bisogno di restare solo, di difendermi con la solitudine dalla famiglia. Credo che la mia incoerenza derivi in parte dalle cose che ho dentro da dire e che non scrivo, le quali urgono, ballano, si compongono decompongono, schizzano, scoppiano ecc.

1 gennaio 1944

Ieri sera sono andato a letto alle 10, con l’Olga. C’era un vento mai sentito così pauroso a Roma. A mezzanotte mentre leggevo il giornale di Renard molti e forti spari. Renard mi assomiglia molto, ma io vorrei essere molto diverso da lui e dai francesi, riducono tutto a letteratura. Ripeto dentro di me che la rivoluzione consiste nello scrivere con uno spirito antiletterario. Poter odiare uno scrittore. Le azioni non hanno bisogno dell’eco che è la scrittura delle azioni (ivi compreso tutto ciò che è, pensiero ecc.) Mi si configura meglio il rapporto diavolo-uomo nella mia commedia: il diavolo è “irritato” contro l’uomo che vive (da quando?) nelle stesse posizioni, eterne, passioni, mistero, fede ecc. Il diavolo gli dimostra il bisogno di togliersi da questa “noia”. L’uomo lo segue ma alla fine compie l’atto che il diavolo aveva interrotto. È proprio vero che la natura umana è così, ma è bella “meravigliosa” che sia così. Ed è “sufficiente” perché ciascuno sappia cos’è il bene e il male. Sussistendo la morte, non può essere diversa, è.

2 agosto 1944

Gli italiani non sono solidali fra loro perché non hanno il senso della solidarietà, con nessuno. Picchio su questo nel mio Viaggio per l’Italia. Oggi ho provato una grande dolcezza, tenerezza, dentro di me, per breve tempo, col desiderio di essere solidale con chicchessia. Potessi smobilitare i miei risentimenti. Come vorrei parlare agli italiani, persino uccidermi perché le mie parole avessero un peso, direi che non siamo peggiori degli altri perché è in noi la possibilità di essere migliori, senza orgoglio. Vedrò domani se dura questa propensione verso il mio prossimo, se dura nel cuore come è chiara nella mente. Gli umoristi, i cosiddetti umoristi, dei settimanali hanno una delle maggiori responsabilità del nostro disastro. Gli italiani risolvevano tutto con le vignette del Marc’Aurelio (...). Anche il Settebello, sotto la direzione di Campanile e mia, non brillò, eravamo come puttane, soprattutto ignari di che cosa è la dignità e la libertà (...). Molte sere dico: domani entro in una chiesa. E il giorno dopo me ne scordo regolarmente.

28 febbraio 1945

C.E. Gadda a colazione da me. Passiamo due belle ore, e intanto noto la mia incapacità a giudicare gli uomini, non afferro un gesto, una parola che me lo riveli. In fondo, io ho di lui un’idea ricevuta, come ho di tanti. Spero di trovargli il modo di tornare a Firenze.

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