Venerdì 26 Aprile 2024

Naufrago e cannibale, il vero capitano Achab

La storia di George Pollard ispirò Melville per “Moby Dick“. Affondato con la baleniera Essex, si salvò mangiando uno dei marinai

Moby Dick la balena bianca di Melville

Moby Dick la balena bianca di Melville

Washington, 25 gennaio 2021 - Hermann Melville conobbe il capitano George Pollard jr. nell’isola di Nantucket sull’Atlantico. Era il luglio 1852. Si scambiarono poche parole. Lui aveva 32 anni. L’altro una sessantina. Ma Moby Dick, la balena bianca era già stato pubblicato. Peccato, perché se l’incontro fosse avvenuto prima, il libro sarebbe stato più realistico e forse non avrebbe subito tante mortificazioni. Fu un flop: 3200 copie vendute sino al 1891 quando lo scrittore morì. Eppure era stato proprio Pollard a ispirare la storia della baleniera affondata dal mostro marino, esattamente duecento anni fa nel Pacifico. Una storia emblematica nell’America prossima alla guerra civile.

Per il puritano Melville la lotta epica fra Achab e la balena bianca, presumibilmente un capodoglio, rappresentava la sfida fra il bene e il male. Moby Dick incarnava il male dell’universo e il senso demoniaco dell’uomo. Achab l’ossessione della vendetta per la gamba perduta e la predestinazione alla morte per sé e l’equipaggio. In realtà le cose andarono diversamente. Peggio. Ce lo rivela un saggio dello Smithsonian Magazine di Washington.

E così apprendiamo che il viaggio oceanico della Pequod, come si chiamava la baleniera della finzione, fu meno avventuroso di quello della Essex, la baleniera di Pollard. Che il capitano Pollard non fece la fine del capitano Achab. Che con lui si salvarono altri sette dei venti marinai. E apprendiamo come si salvarono: si mangiarono a vicenda, estraendosi a sorte. Se ne parlò allora. Se ne riparla oggi con maggiori dettagli. Dozzine i libri, i film, le rievocazioni dopo che, alla morte di Melville, la critica si ravvedette e inserì il suo romanzo fra i capolavori della cosiddetta American Renaissance, insieme con La lettera scarlatta, La capanna dello zio Tom, Walden, Foglie d’erba.

Il cannibalismo era dato per scontato fra i naufraghi. Melville non ne tratta o non lo sapeva. E invece Pollard lo avrebbe descritto in maniera raccapricciante. La sua Essex era stata squassata e disintegrata. Le tre lance erano già in acqua. Invano avevano cercato di arpionare l’enorme animale marino.

"Vidi la mia nave affondare lentamente – avrebbe raccontato – ebbi il tempo di caricare strumenti e provviste. E poi decidemmo dove dirigerci". Lui propose le isole più vicine, le Marchesi e le isole della Società. Ma i suoi ufficiali lo dissuasero: ci sono i cannibali, meglio andare verso sud. E così fecero. Dopo due settimane avvistarono le isole Henderson. Ma erano brulle, inospitali, deserte. Proseguirono. A quel punto cominciarono a scarseggiare i viveri. Raggiunsero l’isola Charles, anch’essa deserta. Tre rimasero. E fecero bene. Sarebbero stati raccolti dopo qualche mese da una nave che vide un fumo lontano.

Le tre lance ripresero a navigare. Fame e disperazione. Due marinai morirono. Vennero squartati, privati di alcuni organi, cotti sul fuoco. I resti gettati agli squali. Poi cominciò la macabra lotteria. Un giorno venne estratto un certo Owen Coffin, ventenne, primo cugino di Pollard. La madre glielo aveva affidato. Pollard rifiutò di sparargli. Uccidete me, disse. Il giovane Owen replicò: non è giusto, sono stato estratto io. Colpo alla testa dal primo ufficiale. Venne divorato in un paio di giorni. Non furono risparmiate nemmeno le ossa.

Finalmente due delle tre lance (la terza era affondata) vennero avvistate da due mercantili. Pollard e gli altri quattro superstiti farneticavano. Ci misero qualche anno a riprendersi. Pollard tornò in mare con un’altra nave. Naufragò di nuovo e a quel punto nessun armatore lo volle. Finì a fare il guardiano del faro sull’isola dove – troppo tardi – lo incontrò Melville.

 

 

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