Mercoledì 24 Aprile 2024

Magico Grand Tour: e l’Italia folgorò Renoir

In mostra da oggi a Rovigo le opere del maestro dell’Impressionismo nate dall’incontro con i nostri classici, da Raffaello a Tiepolo

di Stefano Marchetti

"Sono andato a vedere Raffaello a Roma. È bellissimo, avrei dovuto vederlo prima. Non cercava l’impossibile, come me...". Quasi estasiato dopo la visita alle Stanze in Vaticano e soprattutto alla Villa Farnesina, il 21 novembre 1881 Pierre-Auguste Renoir scriveva all’amico Paul Durand Ruel. Da un mese aveva iniziato il suo “Grand Tour“ in Italia e già era stato “folgorato“ sulla via di Venezia, poi di Roma. Presto sarebbe arrivato anche a Napoli, Sorrento, Capri e Palermo, dove avrebbe incontrato anche Richard Wagner. La laguna lo aveva incantato, e in particolare i pittori veneziani: di Veronese e Tiziano aveva già visto opere al Louvre, Tiepolo lo lasciò senza fiato. Renoir allora aveva quarant’anni, era già famoso fra gli Impressionisti e nel 1876 aveva dipinto la “joie de vivre“ del Bal au Moulin de la Galette. Eppure c’era qualcosa che gli covava dentro, "un’inquietudine, un’insoddisfazione, il bisogno di trovare vie alternative – sottolinea lo storico dell’arte Paolo Bolpagni –. Nonostante non fosse più un ragazzo, il viaggio italiano del 1881 - ‘82, grazie al confronto con i maestri, divenne per lui come un viaggio di formazione, quello che avrebbe voluto forse fare già diversi anni prima".

Fu una rivelazione, se non una rivoluzione. Per Renoir rappresentò il momento del distacco dall’Impressionismo e L’alba di un nuovo classicismo, come ci ricorda la mostra – curata appunto da Bolpagni – che si aprirà oggi (fino al 25 giugno) a Palazzo Roverella di Rovigo, per iniziativa della Fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo. Da musei di tutta Europa sono arrivate 47 opere di Renoir (ci sono anche una Baigneuse del Principe Alberto di Monaco e una scena mitologica pompeiana dalla collezione di Pablo Picasso) che si affiancano a capolavori di maestri del passato a cui il pittore francese si ispirò nella fase matura della sua carriera, Carpaccio e Tiziano, Romanino, Rubens e il classicismo di Ingres. Avrebbe dovuto arrivare anche la scultura della Venus Victrix del 1916, ma pochi giorni fa ne è stata bloccata la partenza dall’Olanda: si sospetta che possa provenire da una razzia di epoca nazista.

Nei pittori antichi Renoir trovava "grandiosità e semplicità". E soprattutto una luce che lo colpiva profondamente. Gli Impressionisti dipingevano spesso “en plein air“, all’aria aperta, eppure a suo parere non riuscivano a trovare quella luce che gli artisti del passato avevano saputo cogliere. "Raffaello non dipingeva all’aperto, ma aveva studiato il sole, perché i suoi affreschi ne sono pieni – scriveva all’amica collezionista Marguerite Charpentier –. Io invece, a forza di vedere l’esterno, ho finito per prestare troppa attenzione ai piccoli particolari che offuscano il sole invece di esaltarlo". Non rinnegò l’Impressionismo, "perché questi problemi li avvertiva già in anni precedenti", annota Bolpagni, ma certamente per Renoir quello fu il momento della svolta, rafforzato anche dalla lettura di un trattato scritto fra il ‘300 e il ‘400, il Libro dell’Arte di Cennino Cennini, di cui scrisse anche una prefazione. "Il disegno comincia a riprendere importanza rispetto al colore, c’è una nuova attenzione alla monumentalità delle figure, ombra e luce producono nuove armonie", aggiunge il curatore. E non è più una pittura di “attualità“, ma una pittura che aspira all’eternità.

Senza essere un passatista e senza dimenticare la pennellata impressionista, Renoir divenne quindi l’artefice di una “moderna classicità“, anticipando alcune linee del primo ‘900, quel “rappel à l’ordre“, il “ritorno al mestiere“ che fu adottato da vari artisti in reazione alle avanguardie, e in Italia perfino da Giorgio De Chirico, dopo la metafisica. Le forme morbide di ragazze al bagno (come la bionda Aline Charigot, futura moglie dell’artista), i colori di un mazzo di rose carnose o la dolcezza di Gabrielle, la “tata“ che tiene in braccio il piccolo Jean, futuro regista, raccontano il nuovo percorso che Renoir condusse ancora nei primi anni del ‘900, nonostante le sofferenze per l’artrite reumatoide che lo aveva quasi paralizzato. Rifare la tradizione sarebbe stata "una nobile illusione", confidò, ma tornare ai Maestri, quello era più che giusto. Anzi necessario.

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