Giovedì 25 Aprile 2024

Le pietre d’oro e di sangue di Gerusalemme

Esce per la prima volta in italiano il libro sulla città santa scritto da Fosco Maraini fra 1967 e 1969. Cardini: "È la capitale dei misteri"

di Franco Cardini

Fosco Maraini s’immerse per la prima volta nell’anno del Signore 1967 nella penombra rumorosa, colorata, odorosa, profumata, fetida, chiassosa e devota del suq che della città vecchia – dopo la rivoluzione urbanistica adrianea che l’aveva trasformata in Aelia Capitolina – era e resta la colonna vertebrale (l’antico cardo maximus che i crociati avevano trasformato in strada coperta da volte ogivali) e si lasciò avvolgere e affascinare dalla sua atmosfera un po’ casbah, un po’ Mille e una notte. (...) Non c’è pietra di Gerusalemme che non sia santa; e non c’è pietra che non sia stata profanata. Ha ragione il soldato che, parafrasando il verso della celebre canzone Yerushalayim shel zahav ve-shel nechoshet ve-shel or ("Gerusalemme d’oro, e di rame, e di luce"), ha parlato di una "Gerusalemme di ferro, e di piombo, e di sangue".

Troppe volte la luce che inonda la Città di David ha acquistato i riflessi del fuoco e, appunto, del sangue: le due sostanze protagoniste del sacrificio. Città di tre fedi sorelle, eppure spesso l’una contro l’altra armata, la Gerusalemme che pur tanto spesso riesce ad avvolgersi di profumi e di canti e che in primavera trionfa nei colori e negli aromi dei fiori dei giardini che l’attorniano mantiene costantemente il suo carattere segnato da una dicotomia profonda: al di là della fantasmagorica varietà degli abiti tradizionali, delle vesti liturgiche, delle tenute etniche o professionali di varia foggia – i cappucci, gli scialli, i turbanti, le tonache, i sai, i baschi e le tute mimetiche da assaltatore, i mantelli, gli stivali, i sandali, le pantofole –, la distinzione e la contrapposizione che di continuo ritorna non è tanto quella delle pelli bianche, rosate, olivastre, brune o nere, quanto quella fra un trionfo magari arrogante ma anche insicuro e una sottomissione che sembra sempre sull’orlo della rivolta.

Da una parte l’oro e il marmo, dall’altra l’ombra umile e appartata di una preghiera silenziosa. L’oro e il marmo sono quelli del Dio Vivente: il monte Moriah poi trasformato in Tempio e infine ridefinito delle due moschee, quella "della Roccia" e al-Aqsa, con le due cupole in dialogo, la dorata della prima, l’argentea della seconda: il sole e la luna.

Qui, l’ebraismo e l’islam s’incontrano nel segno della continuità: Maraini ebbe tra ’67 e ’68 quello che allora era la normale pratica e che oggi è, per i non musulmani, un privilegio più unico che raro: la visita all’interno del santuario "della Roccia", con il cielo della cupola vista dall’interno e dal basso e l’ambulacro circolare tra le pareti e le colonne che tanto puntualmente ricorda la "rotonda" costantiniana della Basilica della Resurrezione.

E qui, nel tempio musulmano, il posto che nella basilica è tenuto dall’edicola del Sepolcro – al centro dello spazio circolare vuoto e sormontato dalla cupola – viene occupato dalla cripta della Roccia di Abramo, quella del sacrificio di Isacco. (...)

Si esce da quell’alto edificio e dalla spianata delle moschee, si discende per l’austero scalone d’ingresso che ha comunque la solida certo, ma pur provvisoria rudezza di un bunker militare, ci si ritrova nello spazio sottostante del Muro Occidentale e da lì, attraverso un dedalo tutto sommato non prolungato e non complicato di strade e di archi, si perviene alla Basilica della Resurrezione: o, come di solito la si chiama, al Santo Sepolcro.

Anche lì la folla dei pellegrini può essere immensa: ma gli spazi dell’edicola sepolcrale, della cripta di Sant’Elena dalla scalinata vertiginosa, dei gradini alti e stretti che conducono alla cappella della crocifissione, sono ristretti, parlano il linguaggio del silenzio e della penitenza. Sono i due volti, opposti e complementari, del Mistero divino: ed è un’osservazione geniale eppure inevitabile quella d’un Maraini che segue affascinato la processione più povera e dall’aspetto più arcaico: quella dei neri monaci etiopi con i loro volti ieratici e impenetrabili, con i loro arredi semplici e puri che sfidano i secoli.

Quei monaci abissini sono quanto più da vicino ricorda, all’orientalista Maraini, l’incedere dei monaci buddhisti, induisti e confuciani con il loro antichissimo ritmo: e qui il sinologo e iamatologo che, nel corso di queste pagine, tante volte dimostra anche il talento e la sapienza del biblista, rintraccia una volta di più i segni del cammino che collega i miti e le leggende della multiforme paganità asiatica alla storia sacra biblica, evangelica e coranica.

Sono i mille volti di una Divinità che alfine si rivela come unica, secondo la vertiginosa intuizione del cardinale Nicola Cusano e del Mahatma Gandhi. Ci sono veramente più misteri in cielo e in terra di quanto non possa immaginare la nostra filosofia. Ma c’è un luogo della terra dov’essi sembrano squadernarsi in un abbagliante momento, prima di venire una volta di più rivelati, cioè velati di nuovo. Gerusalemme.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro