Venerdì 26 Aprile 2024

L’amore di Sibilla: "Lina, sei la mia lucida follia"

Aleramo e Cordula Poletti, la giovane femminista ravennate: le lettere che testimoniano la relazione. Un anno di passione

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di Chiara Di Clemente

"Ti amo. Sarai passata nella mia esistenza come il mistero più abbacinante, come la verità più radiosa forse, trascendente i poveri limiti della mia anima. Sei bella. Non posso darti nulla, perché tutto ciò che è in me trovo centuplicato di potenza in te. All’uomo che ho amato ho dato il mio sorriso. A te, donna, vanno le mie lagrime. Possa tu amare la vita anche attraverso ad esse, come fossero stelle...". L’amore di Sibilla Aleramo per Lina Poletti è racchiuso nel carteggio che va dal 10 aprile 1909 all’8 giugno 1910, raccolto in decenni di lavoro dalla studiosa Alessandra Cenni e pubblicato adesso – le lettere più importanti tra oltre un centinaio – da Castelvecchi nel volume dal titolo Lucida follia.

Nel 1909 Sibilla ha 33 anni, Lina 24; il libro in cui la Aleramo racconta la sua vita, Una donna, ha avuto la sua prima pubblicazione nel 1906: dunque è già noto tutto della scrittrice, il suo scioccante distacco dal padre e la follia in cui è precipatata la madre, la violenza subita – a 15 anni – dall’uomo che si è ritrovata costretta a sposare, la scelta di abbandonarlo e di abbondanare con lui anche l’adoratissimo figlio, l’adesione alla militanza femminista, la coscienza – in fondo all’anima – di non aver mai vissuto né l’amore romantico, né quello della pienezza dei sensi.

Dal 1902 si è trasferita a Roma e vive col poeta e scrittore direttore della rivista Nuova Antologia Giovanni Cena: è stato proprio Cena – col piglio fin troppo maschile del Pigmalione che non manca di ferire la donna – a battezzarla Sibilla e a darle quel cognome preso dalla poesia di Carducci Piemonte ("e vigne suol d’Aleramo"), cancellando in lei l’anagrafe, Marta Felicina Faccio, e il soprannome degli affetti, Rina. L’incontro di Rina con Cordula “Lina“ Poletti – studentessa ravennate di ottima famiglia – avviene nell’agone comune dell’impegno femminista, al Congresso delle donne che si tiene nella capitale nell’aprile del 1908. Cordula è indipendente, vulcanica, colta, si abbiglia da ragazza "maschia", oggi sarebbe più che fluida forse transgender, allora era un’anticonformista coraggiosa al modo della “sorella“ d’Oltralpe Colette. A Sibilla la “virilità“ esibita da Lina non piace (lo scrive esplicitamente in una delle lettere), ma tutto il resto sì: e le piace in una maniera così potente, forse addirittura incomparabile a qualunque passione provata prima e dopo.

A Lina, Sibilla scrive: "Le parole sono tutte usate. Una sola risponde alla realtà e pur non m’appaga: ti penso. Sempre, sempre, sempre, intendi? Ed è terribile . Mancava alla mia esperienza questa lucida follia: questa gioia senza causa e senza scopo, questo dolore nato non so come è che non so come morirà".

E ancora: "Lina, Lina, (...) sono felice che abbia attraversato sfolgorante il mio cielo. Dopo, ho compreso l’anima tragica dell’amore, di ogni amore. (...). Sei stata e sei, adorabilmente, la giovinezza, ch’io non ho mai avuta, e sei la passione, forza distruttiva e creativa insieme, uragano, incendio, e aurora sopra il rinnovato mondo. (...) Eri la prima donna che amavo. Ma in breve fui paga. Ti ho visto, Lina, ti ho conosciuta intera, e ti ho amata nel tuo mistero svelato, che era poi un mistero anche più grande (...) Non sapevo cosa volesse dire il fascino di due occhi, di un volto, di una pura linea: non lo sapeva il mio cuore né il mio sangue. E tu sei venuta. (...) Tu sarai sempre la sola creatura del mio desiderio, la sola a cui il mio sangue e il mio cervello han detto la divina parola dell’ebbrezza e della gioia".

Le (pochissime) lettere di Cordula a Sibilla arrivate sino a noi, di contro, sono di ben altro tenore. In una – pur tra accenti aulici e romantici dedicati all’amica – non manca di criticare lo stile dalle "membrature un po’ slegate e neglette" del romanzo Una donna; e in un’altra la saluta: "Se puoi, scrivimi. Se puoi parlami di te. Ti benedico e ti bacio le mani". Per lei Sibilla lascia Cena, ma per sposarsi con Santi Muratori (da Cordula definito "compagno-scompagno"), Lina lascia Sibilla. Entrambe avranno poi altre relazioni: la Poletti con Eleonora Duse e – il suo legame più lungo – con la nobildonna imprenditrice Eugenia Rasponi. Mentre Sibilla intraprenderà il suo “viaggio chiamato amore“ con Dino Campana dall’agosto del 1916 al gennaio 1918. Passata l’esplosione iniziale, dal carteggio tra l’Aleramo (40 anni) e Campana (31 anni) traspare l’inversione speculare dei ruoli interpretati tempo prima da Rina e Lina: ora è Sibilla che fugge, ora è Campana che la insegue disperato. Il 19 settembre del ’16 il poeta le scrive: "Come sapete ho la testa vuota. Piena del vento iemale che empie questa valle d’inferno. L’inverno mi diverte. Sento che qualcosa resta, dopo tutto, come quel laghetto laggiù nella sua trasparenza che nulla riesce ad offuscare. Mi diverto a vederlo rabbrividire. Mi contento di poco, come vedete. La felicità è fatta delle cose più leggere: quando, s’intende, la felicità è in noi: in me? e in voi?".

Campana morirà da solo, in manicomio, nel ’32. Cordula da sola, a Sanremo, nel 1971. Sibilla a Roma nel 1960: al suo capezzale il figlio, al terzo e ultimo incontro con la madre dopo l’abbandono che lui non le ha mai perdonato.

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