Venerdì 26 Aprile 2024

La paga del legionario: 50 denari a guerra

Decifrata la ricevuta di un soldato romano impegnato contro i giudei a Masada. L’assedio alla rocca sul Mar Morto durò molti mesi

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di Aristide Malnati

Una paga da fame per una professione durissima, spesso spietata: a quanto sembra essere un soldato di una legione romana, almeno nel I secolo d.C., non permetteva di arricchirsi. Lo testimonia una busta paga riportata da un ampio frammento di papiro, un’anonima, ma preziosa testimonianza della mercede destinata a un “eques” (un cavaliere) che contribuì alla vittoria dell’esercito di Roma sui rivoltosi giudei da lungo tempo asserragliati sulla rocca di Masada, in prossimità del Mar Morto (oggi in Israele).

Il testo, scritto in lingua latina, è stato studiato nel 2019 da Joanne Ball, archeologa e papirologa dell’Università di Liverpool, che l’ha poi descritto con diversi tweet e che recentemente ne ha messo in rete la foto e la traduzione. Il documento è stato trovato dagli archeologi britannici sulla piana dove i romani si accamparono durante l’assedio di Masada durante la prima guerra giudaica, tra il 70 e il 73 d.C. Molti rivoltosi giudei si erano trincerati sulla rocca con le famiglie: erano per lo più gli zeloti (i facinorosi del giudaismo radicale che mai sarebbero venuti a compromessi con l’occupante romano), ma sembra che vi fossero anche i primi cristiani, ormai gruppo consistente in Giudea e Galilea.

Tre anni dopo la caduta di Gerusalemme con il suo tempio colmo d’oro nell’anno 70, l’esercito romano mise sotto assedio quegli ultimi irriducibili, finché la rocca cadde nella primavera del 73: probabilmente l’assedio vero e proprio, raccontato con enfasi dallo scrittore ebreo romanizzato Flavio Giuseppe ne La guerra giudaica, durò in realtà pochi mesi: la terribile e micidiale Legione X Fretensis, comandata da Flavio Silva, costruì una rampa che consentì il posizionamento delle catapulte a ridosso delle mura e delle torri di difesa.

Ogni baluardo venne sfondato e l’accesso per i legionari fu un gioco da ragazzi; all’interno però uno spettacolo desolante: i difensori della cittadella si suicidarono in massa per non subire le angherie delle inevitabili torture e una lunga prigionia. In questo quadro a tinte fosche, che costituisce ancora oggi una delle più sentite pagine dell’eroismo ebraico nella storia, si inserisce la vicenda personale di Gaio Messio, un oscuro cavaliere ausiliario che probabilmente prestò servizio nella Legione X, contribuendo, anche se in minima parte, alla conquista di Gerusalemme e, tre anni dopo, di Masada.

Tutto questo, a quanto sembra, per nulla. Il testo ritrovato recita così: "Sotto il quarto anno di Principato dell’Imperatore Vespasiano Augusto (siamo quindi nel 73 d. C., a guerra ultimata), queste sono le spese e lo stipendio ricevuto: io Gaio Messio, figlio di Gaio, della tribù Fabia, originario di Beritus (l’attuale Beirut), ho ricevuto il mio stipendio pari a 50 denari. Con esso ho pagato tutte le spese sostenute: per l’orzo (per il cavallo) 16 denari, per gli alimenti 20 denari, per gli stivali 5 denari, per cinturini in pelle 2 denari e infine per una tunica in lino 7 denari".

Dunque la mercede guadagnata sarebbe bastata appena per pagarsi le spese di mantenimento personali e del cavallo (che un componente del rango equestre doveva mantenere di tasca propria). Resta solo il dubbio se la cifra di 50 denari – stranamente misera se paragonata ai salari corrisposti ai legionari per grandi imprese belliche fin dal periodo di Giulio Cesare – costituisse il rimborso per le spese sostenute o l’ammontare complessivo per l’intera campagna svolta. Se così fosse questo offuscherebbe la magnanimità di Roma verso i “milites”, verso i suoi soldati che la fecero grande.

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