Giovedì 25 Aprile 2024

Stefano Righi: "L'estate sta finendo e sono diventato grande"

Stefano Righi la prossima settimana compie 60 anni. Le canzoni-tormentoni con l'ex socio: "Le cantava perfino Boy George". "Soldi, gloria e carcere: una vita esagerate. Il momento più difficile? Quei cinque mesi in cella con l'accusa di spaccio, poi tutto archiviato, ma nessuno risarcimento".

Stefano Righi, in arte Johnson Righeira

Stefano Righi, in arte Johnson Righeira

"C’è chi crea le mode e chi le segue. Io le anticipo". La frase sul profilo whatsapp è già una bandiera. Perché tutto si può dire di Stefano Righi, torinese, in arte Johnson Righeira, tranne che non lasci il segno. Assieme a Michael, il finto fratello, ha marchiato a fuoco la musica degli anni ‘80. Vamos a la playa, No tengo dinero, L’estate sta finendo. Quelle canzoni sono nell’aria ancora oggi: l’eco di un’epoca incisa nel nostro Dna. Il 9 settembre compirà 60 anni.

Com’è stata la vita finora?

"Tra grandi picchi e cadute rovinose, eccomi qui. Sono pronto per un nuovo inizio".

Sto diventando grande e questo non mi va: la prima strofa di ‘L’estate sta finendo’ era una profezia?

"Sì. Mi rifiuto di essere adulto. Sarà la paura di crescere... so che il tempo passa ed è stupido fingere. Ma la domanda vera è: quanto hai da dare ora?".

Già, quanto?

"Moltissimo".

Più che all’inizio?

"I Righeira sono nati nell’82 dall’incontro con i fratelli La Bionda che ci hanno riveduti, corretti e lanciati. Io e Stefano Rota, cioè Michael, c’eravamo ritrovati insieme a scuola grazie alle mie nefandezze. Liceo scientifico Einstein, due bocciature. Io e lo studio non ci appartenevamo. Pensavo ad altro, tra radio libere e fanzine mi frullavano tante follie in testa. Le ho assecondate".

Cominciava il viaggio. Prima tappa?

"Da Torino a Bologna. Lì c’era un gran fermento di gruppi su una linea parallela alla nostra: Freak Antoni e gli Skiantos, i Gaznevada. Momenti eroici dell’Italo Disco".

Che c’era dentro?

"Di tutto. Punk, rock, pop, new age, disco music, acid house, funky. Un calderone".

Colleghi che le piacevano?

"Alberto Fortis, Plastic Bertrand. Gazebo era un concorrente ma siamo diventati amici. Il più bravo e il più incompreso è stato Maurizio Arcieri. Lui e Christina Moser, il duo Krisma, erano davanti a tutti: in Inghilterra li avrebbero osannati".

Per i Righerira il botto folgorante e inatteso arrivò nel 1983: perché ‘Vamos a la playa’ fece saltare il banco?

"Era una cosa nuova: quella giusta al momento giusto. Un tormentone, sì, però mix perfetto fra parole e sound. Tre milioni di dischi venduti, primato nella hit parade per sette settimane. Impossibile da immaginare quando l’abbiamo incisa".

Come avete gestito il boom?

"Malissimo. Eravamo sotto le armi mentre fuori la nostra vita era cambiata in un secondo. In caserma i ragazzi ascoltavano la canzone alla radio senza sapere che uno dei Righeira ero io. Ho resistito, poi a metà agosto ho sclerato di brutto: avevo 22 anni, volevo godermi il successo. Invece ero dietro un reticolato in divisa mimetica. Riuscii a ottenere una visita neurologica".

Come andò?

"Fui cacciato via. Ma ero disperato sul serio. L’istinto di sopravvivenza mi spinse a fermare un medico civile: gli dissi chi ero e che cosa stava succedendo. Fui richiamato nello stanzone: ottenni una licenza di venti giorni. La mia naja finì in quel momento".

Strada spianata?

"Una discesa libera. Siamo diventati popolarissimi, serate ovunque, ci volevano in Italia e all’estero. In uno studio a Parigi trovammo i Culture Club: Boy George appena ci vide intonò il ritornello. E a Colonia, in un grande albergo, strinsi la mano a Steve Wonder".

Dopo qualche mese un’altra hit. Il sogno continuava?

"Facemmo il bis con No tengo dinero. L’anno dopo fu ugualmente magico. Il mondo era nostro".

Nell’85 il colpo del ko con ‘L’estate sta finendo’...

"Stravincemmo il Festivalbar. Nessuno poteva fermarci".

Tranne voi stessi?

"Non eravamo pronti per un successo così fragoroso: era come pensare di gestire un tornado. Sentivamo la pressione e sapevamo di essere musicalmente insufficienti".

Si guadagnava bene?

"Tanti soldi dilapidati, ho capito tardi che la vita non è sempre festa. In fondo ero un cazzaro salito alla ribalta senza sapere come".

Cazzaro geniale?

"Assolutamente sì. Dietro l’aspetto cialtrone, sono un agitatore culturale professionista. Difficile starmi dietro".

Ci vuole pazzia a debuttare col nome di Aspro Marinetti?

"Ci vuole talento. Mi hanno accusato di fare canzoni senza spessore. A parte che non è vero: ma vogliamo dirlo che i cantautori cosiddetti impegnati hanno soffocato la musica con i loro testi?".

Rivendica la leggerezza degli anni ‘80?

"Sono stati una figata. Arte, creatività, design: li stanno riscoprendo oggi".

Quali sono stati i suoi riferimenti?

"Il futurismo. Poi la goliardia e il filone demenziale. Tutto mescolato insieme. Sono un situazionista, basta vedere come mi presentavo sul palco: vestito metà Balla e metà Depero, colore e ritmica. E la mia cifra stilistica è l’elettronica".

Come cominciò il declino?

"Il giro di boa fu Sanremo 1986 con Innamoratissimo. Ciuffo biondo verticale di venti centimetri, look super kitsch e coreografia con il saltello. Arrivammo quindicesimi su diciotto. Fu un segnale. Ma non avevamo armi contro l’insuccesso dietro l’angolo".

E’ per questo che i Righeira si sono sciolti?

"Questo e altro. Dopo una vita in duo, non ci divertivamo più: ci siamo mollati e ripresi molte volte finché è finita. Io volevo fare cose diverse e adesso è arrivato il momento. La musica di questa estate ha dimostrato quanta poca originalità ci sia in giro: non se ne può più del reggaeton".

La gavetta a sessant’anni per ricominciare da sé: è possibile?

"Ci sta, la mia vita è un cannocchiale rovesciato. Uscirà un vinile cromatico celebrativo dei 40 anni di carriera. Ho creato un’etichetta che si chiama Kottolengo recordings, alla mia maniera: il simbolo sulle magliette è il testone del dittatore coreano Kim".

Un ritorno alle invenzioni del ragazzo torinese del quartiere Barriera di Milano?

"Sono orgoglioso delle mie radici popolari. Le case di ringhiera, iI genitori umili, il dialetto, le musiche di un caposcuola come Gipo Farassino. Ho avuto fortuna, la pappa pronta mai".

‘L’estate sta finendo’ è nata in Barriera?

"Sul tram numero 3, mentre attraversavo il ponte sulla Dora. Quella canzone è un miracolo di resistenza: funziona anche in versione ska, jazz, addirittura valzer. E grazie ai diritti rappresenta un Bot a lunga scadenza".

L’hanno adottata anche gli ultras...

"Dall’Aquila a Modena fino a Liverpool. La curva del Napoli ha creato un testo fantastico sulla musica: un giorno all’improvviso / m’innamorai di te / il cuore mi batteva / non chiedermi perché".

Lei è tifoso?

"Sono uno juventino che ama il Toro. E sono un supporter di una squadra belga di seconda divisione: l’Union Royale SaintGilloise, fondata il primo novembre 1897 come la Juve. Dal 2012 tutte le volte che gioca in casa volo a vederla giocare".

Che cosa le manca?

"Ho molti amici veri ma non ho una compagna. Speravo di averla trovata: è andata male. Ci soffro ancora".

Nel ‘93 passò un brutto momento.

"Sono stato arrestato con altri 37 per spaccio: mi era caduto il mondo addosso. Cinque mesi dentro, poi caso archiviato. E nessun risarcimento perché la legge non lo prevede".

Ultima domanda: proprio non riesce a fare cose normali?

"Non sarei io. Per esempio: alcuni anni fa un americano ha messo legalmente in vendita lotti di terreno sulla Luna. Ho comprato un acro, circa 4mila metri quadri. Ho il diploma incorniciato. Ora abito in campagna, ma domani...".

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