Mercoledì 24 Aprile 2024

James Taylor: "I pezzi di oggi come suonerie telefoniche"

Il cantautore statunitense si prepara per il tour con 5 date italiane: "Recupero la canzone popolare, i cantautori odierni troppo semplici"

Il cantautore James Vernon Taylor

Il cantautore James Vernon Taylor

"Un’ultima domanda, come sta il Papa?". Meglio, in via di guarigione. "Sono contento perché non credo in Dio ma in Papa Francesco sì".

Il James Taylor che non ti aspetti si materializza in video dal Rhode Island per annunciare il tour che lo riporta in giro per il mondo. "Inizieremo a lavorare qui negli States nel giro di tre settimane (una serie di concerti a due con Jackson Browne) e andremo avanti fino a dicembre, quando dovrò interrompere per stare coi miei figli prima di volare in Europa". Il 18 gennaio all’Olympia di Parigi, 5 appuntamenti coi fan italiani, tra cui quelli del 25 febbraio al Teatro Verdi di Firenze e del 28 agli Arcimboldi di Milano.

Com’è tornare dopo questa crisi?

"Lo stop ai concerti mi ha dato l’opportunità di stare a casa in famiglia. Ma sono davvero pronto a tornare. Siamo stati fortunati perché nessuno in famiglia s’è ammalato. Abbiamo passato gran parte della pandemia nel Montana abbastanza isolati. Sul fronte del live è stata l’inattività più lunga che mi sia capitata in 60 anni di palcoscenico".

Cosa pensa di Stand and deliver, il singolo anti-lockdown di Van Morrison ed Eric Clapton in cui l’argomento è trattato con uno scetticismo che sfiora il negazionismo?

"Negli Stati Uniti c’è gente convinta del fatto che il mondo è piatto. E ce ne n’è più ora che vent’anni fa. Qua ci siamo resi conto di quello che stava accadendo solo davanti alle immagini del lockdown italiano".

Perché?

"Perché avevamo bisogno di una sveglia che ci facesse capire la gravità della situazione e quella sveglia ce l’hanno fatta squillare in casa i telegiornali mostrando le drammatiche immagini della tragedia che in Italia stavate vivendo".

All’inizio della pandemia ha pubblicato un album da Grammy in cui rilegge grandi standard americani. Cosa l’ha spinta a confrontarsi con Rodgers & Hart, Harold Arlen, Hoagy Carmichael, Oscar Hammerstein II e altri ancora?

"I motivi sono due, innanzitutto ho voluto recuperare le canzoni che ascoltavo quando ho iniziato a scoprire della commistione tra suoni e parole, quelle divenute di fatto la base della mia vita musicale, ma anche quelle grazie a cui ho imparato a suonare la chitarra. Rappresentano probabilmente il picco più alto della canzone popolare così come l’intendiamo in Occidente. Ho concepito l’album attorno alla chitarra e per questo ho chiamato a produrlo con me un chitarrista jazz come John Pizzarelli. Solo le nostre due chitarre e la batteria di Steve Gadd. Nient’altro. La cosa ci è piaciuta e l’abbiamo fatto seguire da un altro ep con tre pezzi tra cui Over the rainbow".

A proposito, cosa pensa dei “songwriter” di oggi?

"Penso che al momento la composizione sia molto più focalizzata di un tempo sul sound e sul groove. Con messaggi semplici, elementari. Pure la costruzione del pezzo è estremamente semplificata rispetto a quella di standard che stanno lì da 60-70-80 anni, perché devono arrivare subito. Quasi fossero suonerie telefoniche. Oggi ci sono grandi interpreti e fantastici produttori, ma tutto è diviso in parti sempre più piccole".

Prima che tutto si fermasse, il musical con le canzoni della sua amica Carole King è stato un successo a Broadway. A lei i produttori hanno mai proposto qualcosa del genere?

"Sì, ma non per un musical autobiografico come quello di Carole. Le canzoni verrebbero usate per una storia completamente svincolata dalla mia. Ci stiamo lavorando proprio ora".

 

 

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