Venerdì 26 Aprile 2024

"Gentile Ignota, io la amo". Firmato: Pascoli

In 400 lettere la relazione platonica ma passionale fra il poeta e la moglie del pittore Corcos. Lei gli scriveva: "Se potessi, la sposerei"

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di Stefano

Marchetti

"Gentile Ignota, nota al mio cuore, come al suo verde calice il fiore! Mi dia notizie. Come va? Mi aiuti!" Da Messina, dove si era trasferito (con l’inseparabile sorella Mariù) per insegnare all’università, il 18 aprile 1901 Giovanni Pascoli scriveva a un’elegante signora toscana che aveva conosciuto pochi anni prima: "Io sono qua, e sono quasi allegro. Devo fare un nuovo volume dantesco e correggere le mie due antologie. A proposito, mi mandi dei pezzetti, delle belle pagine di prosa o di poesia che le siano piaciute". Era la stessa raffinata signora a cui aveva dedicato L’ora di Barga, pubblicata l’anno precedente sulla rivista fiorentina Il Marzocco e che sarebbe poi entrata nei Canti di Castelvecchio: Emma Ciabatti, sposata Corcos, pisana di origine, moglie del celebre pittore livornese Vittorio Corcos, il ritrattista delle dame della Belle Époque.

Nell’arco di quindici anni, il poeta e la gentildonna si scambiarono quattrocento lettere: lei lo inondò di biglietti, telegrammi, cartoline, lui non mancò di rispondere, sempre con intrigante cortesia. Il carteggio, che già Claudio Marabini aveva pubblicato parzialmente cinquant’anni fa, ora riemerge nella sua completezza. "Di certo da questi scritti affiora che Giovanni Pascoli ed Emma Corcos furono realmente innamorati", sostiene Francesca Sensini, docente di Italianistica all’Université Côte d’Azur e studiosa pascoliana, che nel saggio narrativo Non c’è cosa più dolce (edito da Il Melangolo) ricostruisce una lunga storia di amorosi sensi.

Quello fra Giovanni ed Emma fu un amore platonico. Si incontrarono soltanto cinque volte e quasi sempre in occasioni ufficiali, non si scambiarono mai neppure un bacio, eppure soprattutto dalle lettere di lei emerge un’irresistibile passione, e perfino una sorta di dichiarazione: "Se potessi chiedere alle fate bellezza, ricchezza, gioventù, cultura, io sposerei subito Giovanni Pascoli, e sarei la sorella di Mariù – si spinse a scrivere Emma nel 1903, dopo aver partecipato a una conferenza del poeta in Orsanmichele a Firenze – Non glielo dicevo prima di vederlo, benché lo pensassi. Ora che l’ho anche guardato, ho proprio voluto che lo sapesse".

A far conoscere Pascoli e la signora Corcos era stato un amico comune, Ermenegildo Pistelli, padre scolopio: nel 1897 lei gli aveva consegnato un suo commento sui Poemetti di Pascoli, e il sacerdote lo aveva girato al poeta, senza rivelargli – almeno inizialmente – il nome dell’ammiratrice. Da quel momento per Pascoli quella fu la "Gentile Ignota", un appellativo che (come in un gioco di sguardi e di segreti) continuò a riservarle anche quando poi scoprì la sua identità. Ma a quell’epoca Pascoli ormai aveva già rinunciato alla sua vita personale, si era ritirato nel “nido“ con la sorella Mariù che temeva che lui potesse sposarsi e fare entrare un’altra donna nella sua vita.

"Pascoli viene spesso descritto come anaffettivo, addirittura sessuofobico – spiega la professoressa Sensini –. È un’immagine sbagliata, come altri stereotipi su di lui. In realtà, soprattutto nella sua gioventù ardente, Pascoli ebbe varie storie d’amore. E nel 1895, come si sa, stava per sposarsi con la cugina Imelde di Rimini ma le nozze andarono a monte quando Mariù lo venne a sapere. Il ricatto affettivo della sorella sul poeta era troppo forte".

Il rapporto epistolare e intellettuale con Emma certamente risvegliò in Pascoli "qualcosa di nuovo, anzi d’antico". "Lei gli scriveva esprimendosi con termini che andavano oltre le convenzioni sociali dell’epoca – aggiunge Francesca Sensini – Nelle lettere di Pascoli si denota una grande intimità, unita sempre a enorme rispetto verso la signora: le parlava da pari a pari, le confidava timori, le dedicava frasi romantiche". Anche se sicuramente tutte le lettere dovevano passare il “filtro“ dell’inflessibile Mariù.

Fu proprio lei a “bloccare“ le ultime lettere scritte da Emma a Giovanni nel 1911, quando ormai il poeta era gravemente ammalato. "Non gliele ho date, perché erano troppo belle", confessò Mariù quando Emma Corcos volle incontrarla per porgerle le sue condoglianze dopo la morte del poeta nel 1912. Quello fra Giovanni ed Emma è rimasto un sogno di gioia, e forse il desiderio inespresso di "non so che felicità nuova".

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