Giovedì 25 Aprile 2024

E Lenin fermò la ministra del libero amore

La storia di Aleksandra Kollontaj, prima donna a far parte di un governo europeo: ma i bolscevichi bocciarono la sua rivoluzione sessuale

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di Lorenzo Guadagnucci

Per le femministe liberali era “la terribile Kollontaj”, per i suoi avversari “la Valchiria della rivoluzione”, per Lenin, Trockij e gli altri capi bolscevichi una donna che voleva una rivoluzione nella rivoluzione: cambiare le relazioni fra maschio e femmina all’interno della coppia. Aleksandra Kollontaj (1872-1952) è stata la prima donna a diventare ministro in un governo europeo – nominata dal compagno Lenin l’11 novembre 1917, con delega all’assistenza sociale – ma il suo passaggio nella storia dell’Urss (e non solo) poteva essere ben più concreto e più visibile, se i dirigenti rivoluzionari fossero stati davvero tali, se cioè le avessero permesso di portare avanti i suoi progetti di liberazione femminile, invece di fermarla sul più bello.

Nata a San Pietroburgo, figlia di un colonnello dell’esercito zarista di nobile famiglia e di una donna finlandese capace di lasciare il primo marito per unirsi al suo amato ufficiale, Aleksandra è stata la teorica del “libero amore”, inteso non come libertinaggio fine a sé stesso, ma come piena espressione di sentimento, passione e sensualità. Proprio ciò che mancava nel matrimonio tradizionale, con la donna relegata a un ruolo passivo, servile, succube del maschio di casa, lui sì libero di cercare altri piaceri in altre alcove.

La Kollontaj visse in prima persona ciò che teorizzava – ebbe un’esistenza libera, per quanto segnata dall’esilio, e si lasciò spesso andare alla passione, senza mai rinunciare al suo impegno pubblico – ma non credeva nel gesto esemplare, nella figura dell’eroina che rompe le convenzioni sociali e indica la strada alle altre.

Da buona socialista, era convinta della necessità di creare le condizioni materiali per la libertà della singola donna e nei pochi mesi da ministra agì in tale direzione. Lottò contro la prostituzione – dilagante nella Russia del suo tempo – e per il sostegno alle donne incinte e alle giovani madri, per gli asili nido gratuiti, per l’esclusione delle madri dal turno di notte in fabbrica, per la parità di salario fra maschi e femmine, per il congedo retribuito di maternità, per la legalizzazione del divorzio e dell’aborto. Credeva nel diritto di ciascuna persona a vivere fino in fondo le proprie emozioni e i propri slanci passionali, imbrigliati da strutture familiari oppressive, spesso disumane nei confronti delle donne.

Arrivò a proporre forme di vita comunitaria nelle quali stemperare i ruoli familiari, in modo che la cura dei figli non fosse più un obbligo e un peso per le madri, ma una funzione condivisa dai maschi e dal gruppo più allargato. Concezioni molto avanzate, anche per un paese che si credeva sulla via di rifondare la condizione umana, oltre che di cambiare le strutture sociali e politiche ereditate dal passato zarista. Alla fine furono i suoi stessi compagni a fermare Aleksandra Kollontaj.

Donna intensa, anticonformista, poliglotta (parlava undici lingue), grande oratrice, amatissima in seno al popolo e infaticabile nell’azione, Aleksandra ebbe il torto di ritenere che la questione femminile andasse affrontata subito, con soluzioni immediate, senza aspettare il pieno dispiegamento della rivoluzione socialista, quando tutti i tasselli – secondo Lenin e gli altri leader bolscevichi – sarebbero andati spontaneamente al loro posto.

Fu Lenin in persona a bloccare i suoi slanci, sempre più infastidito dalla teoria del “libero amore”, nella quale scorgeva, come scrive Annalina Ferrante nel libro Aleksandra Kollontaj. Passione e rivoluzione di una bolscevica imperfetta (Asino d’oro edizioni), "un declino borghese e un rischio per la salute, una seria minaccia per la rivoluzione". In fondo Lenin, che pure aveva avuto come amante Inessa Armand, amica e compagna di lotte della Kollontaj, non si era mai staccato dalla mentalità maschile del suo tempo, con l’uomo che cerca una tranquilla vita di coppia, senza sussulti e senza rischi, salvo “arricchirla” con relazioni extraconiugali più o meno clandestine. Né l’establishment bolscevico si discostò da questo cliché piccolo borghese, tanto che la Kollontaj veniva spesso derisa e compatita per le sue posizioni e i suoi comportamenti da “donna libera“, specie quando si innamorò di Pavel Dybenko, dirigente rivoluzionario di origine contadina, più giovane di lei di 17 anni.

Aleksandra e le altre del suo gruppo, alla fine, furono accusate di “deviazionismo femminista”. L’Urss rinunciò così a cambiare davvero e in profondità le relazioni fra i sessi. Per Aleksandra cominciò una seconda vita, stavolta da diplomatica. Rimase sempre fedele al partito, tanto da sfuggire alle purghe staliniane, ma il socialismo sovietico in sostanza la ripudiò, consegnando all’oblio i suoi propositi di rivoluzione (sessuale) nella rivoluzione. E tuttavia la “Valchiria della rivoluzione“ – morta ottantenne, un anno prima di Stalin – è sopravvissuta all’Urss: il femminismo contemporaneo sta riscoprendo i suoi libri e le sue teorie. Il ”libero amore” è ancora d’attualità.

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