Mercoledì 24 Aprile 2024

E Di Pietro gettò la toga oltre l’ostacolo

Nel libro di Mario Consani la storia di Tangentopoli e la fine della Prima Repubblica. Ora per ora l’addio-show del magistrato simbolo

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di Mario Consani

"Se permette, signor presidente...". Vorrebbe parlare, Antonio Di Pietro. Sono quasi le cinque di pomeriggio e ha appena concluso la sua ultima requisitoria al processo Enimont. È visibilmente stanco, affaticato, sudato. Si toglie la toga e il maglioncino bordeaux. Poi si aggiusta la cravatta, si infila la giacca. Intorno a lui il cerchio dei fotografi e dei giornalisti è sempre più stretto. Le telecamere lo inquadrano. La sensazione è che voglia avvicinarsi al microfono, forse per aggiungere qualche parola a quella lettera di dimissioni che da quasi due ore circola nell’aula. Ma l’anziano presidente del tribunale Romeo Simi de Burgis non coglie l’attimo fuggente. Chiama a sé gli avvocati, fissa il calendario delle udienze successive. Un dialogo quasi surreale, mentre tutti attendono solo che sia Di Pietro a prendere la parola. Impossibile.

Così il magistrato si rimette seduto, scambia qualche parola con i collaboratori mentre è visibile la sua fatica per controllare le emozioni. Alla fine si alza e si allontana da una porticina laterale, proprio come è successo in mattinata quando il procuratore capo Francesco Saverio Borrelli gli ha fatto arrivare un biglietto in aula e lui è sbiancato leggendo della telefonata del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. L’ultimo tentativo di fargli cambiare idea. Il pm abbandona l’aula e il presidente Simi de Burgis si lascia andare: "Speriamo che il Consiglio superiore della magistratura le respinga, quelle dimissioni". Fine della tecno-requisitoria con tanto di monitor e schermo cinematografico, fine della carriera giudiziaria, fine di Mani pulite, almeno per Di Pietro. (...)

Per ultimo, nel lungo elenco degli imputati, Di Pietro ha lasciato il suo “antagonista” storico, quello che dalla Tunisia gli ha spedito più volte le sue maledizioni, l’ultima proprio la sera prima: il leader del Psi Bettino Craxi, naturalmente. A lui il pubblico ministero più famoso d’Italia riserva le ultime attenzioni da magistrato. Per lui chiede 3 anni e 4 mesi di pena. "Siccome ci si dice che ce la siamo presa con un segretario politico senza che c’entrasse niente..." attacca di Pietro, e poi giù una raffica di accuse corredata da decine di grafici e diagrammi che scorrono sul monitor in aula. (...)

Ma l’interrogativo cui nessuno, in quelle ore concitate, riesce a trovare una soluzione è un altro: perché Di Pietro se ne va? Perché lascia a metà il suo lavoro in Mani pulite proprio ora che la sua credibilità come accusatore e come magistrato sembra arrivata al massimo, ora che la sua popolarità sfiora vette inimmaginabili? "Carissimo signor Procuratore, in questi anni, come Lei mi ha insegnato, ho lavorato nel modo più obiettivo possibile, senza alcun fine, anche senza guardare in faccia a nessuno". Comincia così la lettera che il pm ha indirizzato con data di quello stesso 6 dicembre 1994 al suo capo Borrelli per annunciare le dimissioni. (...)

"Mi sento usato — scrive ancora Di Pietro — utilizzato, tirato per le maniche, sbattuto ogni giorno in prima pagina sia da chi vuole contrappormi ai ‘suoi’ nemici sia da chi vuole così accreditare un inesistente fine politico in ciò che sono le mie normali attività. (...) Sento pertanto il dovere, come uomo e come cittadino, di fare qualcosa per riportare serenità e fiducia nelle istituzioni. (....) Lascio quindi l’ordine giudiziario, senza alcuna polemica, in punta di piedi (...) Con tanta, tanta stima". La lettera è firmata a penna "suo Antonio".

Se ne va “in punta di piedi”, scrive Di Pietro, e quelle parole sembrano una battuta con i tempi sbagliati. Infatti giornali e televisioni impazziscono e negli uffici di una Procura presa d’assalto da cronisti e fotoreporter è difficile anche riuscire a respirare. L’anticamera della stanza di Borrelli è una bolgia infernale con fotografi e cameramen balzati in piedi sulla scrivania in noce e sulle poltrone di pelle, mentre due ali di carabinieri faticano ad arginare l’urto di oltre un centinaio di penne, telecanere e flash. (...) Ma c’è poco da salvare. A parte il fatto che la Borsa ha perso il 2,47 per cento e il marco è schizzato a 1.034 sulla lira, l’Italia intera è scossa dalla conferma delle dimissioni. (...)

In quelle ore convulse c’è chi si dà pace ("Un atto di grande coerenza" commenta il ministro della Difesa Cesare Previti), chi dopo aver chiamato in tivù i magistrati "assassini", Vittorio Sgarbi, propone che Di Pietro diventi senatore a vita, e chi sembra invece non gradire la sua scelta di mollare: "Lascia l’amaro in bocca" assicura il premier Silvio Berlusconi. Strano, perché la mattina dopo la stampa internazionale che riprende la notizia dell’addio di Di Pietro sulle prime pagine di tutto il mondo, non sembra avere molti dubbi circa il significato reale del suo abbandono. (...) Nel dubbio, si fa per dire, i napoletani hanno già dato l’assalto alle ricevitorie del Lotto per giocarsi 6-12 la data, 16-43 l’ora ufficiale dell’addio, 8 il magistrato. (...)

Sul futuro del quasi ex magistrato, l’opinione prevalente è che si butterà in politica, anche se nessuno si sbilancia sul fatto che possa andare a destra o a sinistra. (....) Intanto, il settimanale Oggi annuncia che da un sondaggio Abacus che sta per pubblicare, Di Pietro risulta di gran lunga l’uomo più amato dagli italiani con un 76,3% di gradimento. Nel centralissimo corso Buenos Aires di Milano, le luminarie volute dai commercianti augurano "Buon Natale, Di Pietro". E il Corriere dello Sport-Stadio tre giorni dopo manda in edicola un grande poster a colori del magistrato con il titolo "Antonio Di Pietro – lo sportivo dell’anno".

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