Venerdì 26 Aprile 2024

Donatella Finocchiaro, mamma sul set. "La mia legge è offrire emozioni"

L'attrice di Youtopia: "Ho studiato giurisprudenza, ma ha vinto il palco"

Donatella Finocchiaro (Afp)

Donatella Finocchiaro (Afp)

Roma, 17 luglio 2018 - Al festival di Ortigia, nel cuore antico di Siracusa, la hanno premiata, pochi giorni fa, per la sua interpretazione in “Youtopia”, uno dei film indipendenti più interessanti della stagione. Donatella è, in quel film, una madre vinta, preda dell’alcol e dei debiti, schiacciata da una miseria economica ed esistenziale. Presto, la vedremo in televisione, su Raiuno, nella fiction in sei puntate “L’Aquila, grandi speranze” diretta da Marco Risi, in onda questo autunno. Lei è Donatella Finocchiaro. Intensità di sguardo, bellezza imperiosa, non patinata, vera, a volte anche sgualcita: forse anche per questo l’hanno paragonata, più di una volta, ad Anna Magnani. E non hanno torto. Una laurea in Giurisprudenza, e un cammino da attrice iniziato con il più esigente dei registi, Marco Bellocchio, che la volle come protagonista al fianco di Castellitto ne “Il regista di matrimoni”. Da allora, molti film – con Andò, Winspeare, Tornatore, e persino con Woody Allen – molto teatro, e una meravigliosa figlia di quattro anni.

Donatella, all’inizio del suo percorso c’era una carriera da avvocato. Poi che cosa è accaduto?

«Ho studiato Legge per senso del dovere verso la famiglia e verso me stessa, ma il teatro e il cinema già mi appassionavano. Riesco a emozionarmi, sul set e sul palco. A volte mi accade di provare emozioni che non riesco a sentire nella quotidianità. Talvolta sul palco vibra una tale emozione dentro di me che mi spinge alle lacrime».

A breve sarà fra i protagonisti di una fiction importante, perché esplora una delle ferite più brucianti dell’Italia, il terremoto de L’Aquila. Come è stato girare fra le macerie?

«È stata un’esperienza molto dolorosa, molto forte. La nostra era la prima troupe che poteva girare nella ‘zona rossa’, dove ancora ci cadevano i calcinacci addosso. È tutto un cantiere, ancora oggi: la ricostruzione prosegue, ma fra mille difficoltà».

Il suo ruolo nella fiction?

«Ci sono tre famiglie, attorno alle quali ruota la storia: la mia, poi Barbareschi, Francesca Inaudi e Tirabassi con Valentina Lodovini. Abbiamo girato anche nelle town della ricostruzione, fra le baracche e le casette che accolgono gli sfollati».

A proposito di figlie, c’è la sua che, mentre conversiamo per l’intervista, chiede un gelato a tutta voce. Come è cambiata la sua vita dopo la sua nascita?

«È stata una sorpresa infinita. La desideravo molto, ma è arrivata sorprendendomi, quando avevo 43 anni. È stata una gioia enorme e per un paio d’anni mi sono dedicata quasi completamente a lei».

Che cosa porta l’arrivo di una figlia?

«Si ritorna bambini. E, allo stesso tempo, ci si trova ad avere molte più responsabilità. Diventiamo come dei ‘bambini adulti’. Mia figlia è uno spettacolo tutti i giorni: a quattro anni si mette a ballare da sola, come una piccola Pina Bausch! I bimbi sono dei terremoti, hanno le pile cariche più di una Duracell. E sono dei cicloni di creatività».

Adesso è tornata alla grande sul set interpretando anche una fiction internazionale, la miniserie “Trust” diretta dal premio Oscar Danny Boyle, e con Donald Sutherland e Hillary Swank.

«Sì, ho interpretato uno degli episodi della serie, quello diretto da Emanuele Crialese. Ma la cosa più sorprendente è stato leggere gli elogi del ‘New York Times’, che scrive “Regina, played beautifully by Donatella Finocchiaro”. Non avrei mai immaginato che un giornalista di New York potesse occuparsi di me! E, ulteriore sorpresa, la Fox ha candidato me e Francesco Colella all’Emmy Award».

La serie è uscita negli Stati Uniti e poi su Sky Atlantic.

«Esatto. E fra gli interpreti ci sono Luca Marinelli, Giuseppe Battiston e Nicola Rignanese. Donald Sutherland, ogni volta che lo vedo, mi fa venire la pelle d’oca».

Qual è il suo prossimo progetto?

«Sarò di nuovo a teatro, con ‘Lampedusa’, un dramma a due voci scritto da un inglese, Anders Lusstgarten, e interpretato da Fabio Troiano e da me. Sono due monologhi, due confessioni: lui, pescatore siciliano, raccoglie i cadaveri di quanti soccombono nella traversata dalle coste africane. Io, figlia di immigrati, affronto i pregiudizi nel profondo Nord d’Italia».

Le sue origini sono siciliane. Quanto ama la sua terra?

«Da morire. Per anni, pur facendo questo mestiere che ti vuole a Roma, ho vissuto in un paesino alle pendici dell’Etna. E poi, ho preso una casetta a Catania, dove torno appena posso. La mia estate, anche quest’anno, sarà lì. Sono siciliana nel profondo: il caos, il traffico di Roma, pur bellissima, per me sono da prendere a piccole dosi».

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